memories: LOVELESS

my_bloody_valentine_lovelessMY BLOODY VALENTINE – Loveless
(Creation, 1991)

Fa una strana sensazione a chi solitamente calca sentieri marginali rispetto alle grandi direttrici che pretendono di incanalare il corso impetuoso e disordinato della musica in rigide cornici storico-definitorie la coincidenza di uno dei propri “dischi della vita” con un album ormai pressoché universalmente riconosciuti e ricomprese sotto le ben diverse categorie di ”importanza”, ”innovatività” o affini.
Eppure è innegabilmente ciò che succede a proposito di “Loveless”, disco del quale oggi sembra persino superfluo scrivere dei contenuti o raccontare la storia. Tutti o quasi sapranno della piccola epica che lo circonda, della maniacalità di Kevin Shields nella creazione di cascate di feedback che lo avevano portato alla sovraincisione di oltre quaranta chitarre, con correlativo prosciugamento delle casse della Creation, nel tentativo di riassumere in una sola band – anzi, in un solo chitarrista – dotata di sensibilità diversa l’ensemble delle cento chitarre di Glenn Branca.

Allora non resta che offrire di quel lavoro straordinario una diversa prospettiva, che parte non solo dalla percezione di inusitata densità sonora del suono conseguito nelle sue undici tracce, ma anche dal suo substrato sostanzialmente “pop”, declinato in sfumature sognanti, riflessive e persino inclini a un certo divertimento da dancefloor, che stata contagiando parte della musica alternativa inglese più o meno negli stessi anni.

Sotto il primo profilo, è innegabile l’impatto prodotto dall’immersione nel suono al tempo stesso imponente e indefinito di “Loveless” su chiunque vi si sia imbattuto al momento della pubblicazione, soprattutto se in età adolescenziale o poco più: la stessa idea realizzativa era qualcosa di difficilmente concepibile all’epoca e il risultato semplicemente impressionante se si considera come sia stato conseguito in maniera, di fatto, analogica, senza impiego di filtraggi o sovrastrutture elettroniche che oggi alimentano la maestosità di similari muri di rumore. Inoltre, la vertigine prodotta dai vortici elettrici dei brani dei My Bloody Valentine invertiva la dimensione d’ascolto della musica (lato sensu) “rock”, generando una materia sonora nella quale vuoti e pieni sostanzialmente si fondevano, con il pieno della mole distorsiva a creare un vuoto come da occhio del ciclone, scosso da ritmiche asciutte e austere. Il senso del vuoto, dell’assenza, è del resto connaturato alle principali manifestazioni dei My Bloody Valentine, a cominciare dai titoli dei dischi: “Loveless” segue infatti quell’”Isn’t Anything” (1988) la cui memoria vive troppo spesso obliterata, ma che per la sua straordinaria tra rumoroso approccio post-punk e melodie tipicamente pop merita nondimento l’appellativo di vero e proprio capolavoro.

Quello delle canzoni, latamente riconducibile al linguaggio pop, è appunto il secondo profilo saliente di “Loveless”, sicuramente meno sviluppato rispetto al predecessore, per il semplice fatto che ben altro concentrava l’attenzione di Kevin Shields al momento della sua realizzazione. Eppure, come non cogliere una leggerezza sognante tra gli spasmi di “Only Shallow” e i sospiri di “Blown A Wish” e trasfigurazioni jangly sottoposte a una grattugia elettrica in “When You Sleep” e “What You Want”?
E poi, il gioco di riflessi distorti di “To Here Knows When”, la suadente tensione di “Come In Alone”, il battito incalzante che trascina sotto luci stroboscopiche i granulosi loop di “Soon” e la riflessiva, intensa e dolcissima ascesi di rumore di “Sometimes”, la cui dissolvenza continua a ronzare nell’orecchio ben oltre i cinque minuti della sua durata (tanto da non poter fare a meno di pensare che i Sigur Rós si riferissero a questo brano col titolo “Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust”…).

Questo e molto altro ancora, da scoprire soltanto abbandonando totalmente al suo ascolto mente e cuore, popola lo sconfinato universo sonoro di “Loveless”, molto più che un disco fondamentale, un’esperienza sensoriale coinvolgente, un brulicante abisso che con sensibile, esuberante intensità ha distillato in musica l’impeto caotico del desiderio.

In memoria di Vera (1975-2003), che era con me all’atto dell’acquisto del disco, il pomeriggio dell’attentato nel quale fu ucciso Giovanni Falcone. Due ricordi ai quali “Loveless” rimane indissolubilmente legato.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.