grace_beneath_the_pinesGRACE BENEATH THE PINES – Grace Beneath The Pines
(Preserved Sound, 2015)

Per quanto covi ormai spesso sotto la cenere, il sacro fuoco del post-rock non si estingue ma continua a trasformarsi, seguendo la via della contaminazione, unica a poterne mantenere ancora in vita il contenuto di tensione e coinvolgimento attraverso il quale ha letteralmente scompaginato il linguaggio musicale della fine degli anni Novanta e dei primi Duemila.

Da questa prospettiva, non appare affatto tardiva la proposta dei polacchi Grace Beneath The Pines, che nel loro debutto omonimo condensano un’attitudine chiaramente palesata fin dal loro nome (mutuato da un brano dei For Carnation), combinandone i cardini consolidati con elementi ulteriori, dichiarati nel lirismo dei Low e nelle atmosfere oblique di Piano Magic, oltre che immediatamente identificabili nell’attitudine alla creazione di vere e proprie canzoni.

Tutti i brani del lavoro contemplano infatti l’elemento vocale, morbido o talora leggermente sbilenco, associato a una coesa materia sonora modellata da texture elettriche sostenute da un impianto di cadenze rallentate e arricchite da arrangiamenti d’archi e da un’articolata sezione ritmica. Non a caso l’album è stato realizzato da una formazione aperta, nella quale si sono avvicendati ben tre diversi bassisti, che hanno così contribuito a dotarne i brani di una pluralità di timbriche, pur nel solco di un’impostazione di base molto chiaramente identificabile.

Anche per questo motivo, i brani sono risultati non solo piuttosto vari tra loro, ma anche estremamente dinamici al loro interno, seguendo strutture che, pur mostrando spesso carattere incrementale, non seguono schemi univoci. Tensione emotiva e languori romantici, morbido lirismo e accenni leggermente più spigolosi si susseguono così con estrema naturalezza nel corso dei tre quarti d’ora scarsi del lavoro, suscitando le inevitabili reminiscenze post-rock in una sequenza che va appunto dai For Carnation e dai Codeine (l’iniziale “Grace Died” e “Slow Moon”), passando per la Louisville austera e romantica degli Shipping News (“In Flux”) o per quella nervosa dei June Of 44 (appena un accenno in “Away”), fino ad arrivare ai nostri Giardini di Mirò (“Constant Change”, “At The Centre”).

L’essenza del lavoro risiede comunque nell’incontro tra il morbido lirismo di interpretazioni e cadenze, da solo sufficiente a coronare con un pathos dai contorni a tratti oscuri la declinazione post-rock della band polacca, lucida, coinvolgente e pienamente credibile anche al tempo presente.

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