LEBENSWELT – Shallow Nothingness In Molten Skies
(Under My Bed, 2016)

Mentre l’ampiezza dell’offerta musicale in circolazione comporta una costante ricerca ai quattro angoli del globo, può avvenire che proposte sorprendenti si celino proprio dietro l’angolo, dove la passione autentica torna ad alimentarle dopo tanti anni di silenzio. Capita così di intercettare, grazie a una coincidenza acutamente ricercata, un disco denso di pathos e poesia che risponde all’immaginifico titolo di “Shallow Nothingness In Molten Skies”; ne è autore un musicista romano, Giampaolo Loffredo, che dal 2003 conduce in solitaria un progetto chiamato Lebenswelt, del quale ha da poco ripreso le fila dopo quasi dieci anni di quiescenza.

Gli otto intensissimi brani del lavoro si muovono su coordinate affini alla temperie artistica delle origini di Lebenswelt, radicate in un periodo in cui dai recenti apici del post-rock si ricercavano vie d’uscite tali da assicurarne un rinnovamento, pur nella continuità delle suggestioni. La via d’uscita di Loffredo, lucidissima e ispirata, era ed è nella direzione di un rallentamento dei tempi unito alla scrittura di canzoni intrise di soffusa, placida malinconia, eppure non aliene da una latente tensione emotiva.

Di tutto ciò – e di altro ancora – “Shallow Nothingness In Molten Skies” esalta i caratteri maggiormente in grado di toccare corde profonde; lo fa pennellando atmosfere umbratili attraverso soluzioni sonore al tempo stesso semplici e curate, costellate da chitarre languide, sfumate iterazioni di note e riverberi che avvolgono l’austero lirismo delle interpretazioni di Loffredo.

Benché non manchino un paio di dolenti cavalcate elettriche, che confermano la cupa indole elegiaca dei God Machine di “One Last Laugh In A Place Of Dying” già suggerita dalla title track, il pathos dei brani resta sempre controllato, avvinto in un lirismo contemplativo popolato da scorci crepuscolari e abissi di malinconia placidamente assaporata, nei quali ai testi di Loffredo si affiancano in maniera tutt’altro che forzata i versi di Sylvia Plath con i quali il lavoro si apre e quelli di T.S. Eliot, con i quali si chiude con una coda pianistica degna dei migliori Black Heart Procession. Oltre le originarie definizioni di post-rock e slow-core, “Shallow Nothingness In Molten Skies” è un condensato di intensità e autenticità espressiva davvero raro, un album che fin dalla sua bella confezione in carta riciclata denota poche pretese ma tantissima anima, che è un piacere ulteriore (ri)trovare proprio dietro l’angolo.

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