ALONDRA BENTLEY – Ashfield Avenue
(Absolute Beginners, 2009)
Intitolato ad omaggiare la strada inglese in cui è nata, ma registrato nel profondo sud della sua Spagna, “Ashfield Avenue” è l’album che segna la piacevolissima sorpresa del debutto di Alondra Bentley, ultima arrivata in ordine di tempo ad aggiungere la sua personale tessera nel variopinto panorama del cantautorato al femminile.
Sarebbe dunque facile correre subito a conclusioni aprioristiche di fronte all’ennesima interprete che va a collocarsi in un ambito già densamente popolato, suddiviso tra pochi nomi consolidati, ormai universalmente riconosciuti, e mille produzioni parcellizzate ma talvolta di classe cristallina.
Alla seconda categoria va certamente ascritto questo esordio conciso ed elegante, che trova i propri punti di forza nella suadente voce della Bentley e nella sensibilità di scrittura che traspare sia dai testi sia da melodie tanto versatili da adattarsi alla perfezione a contesti stilistici non circoscritti ai classici retaggi folk ma rivelatori, ad esempio, di una buona propensione al pop e di una moderata vocazione teatrale.
Avvince da subito Alondra, con la sua voce soffice e flessuosa, che si connota quale principale elemento di modulazione dell’iniziale “…” (“Dot, Dot, Dot”), piccola perla di romanticismo acustico che disvela pian piano il lato più pregevole e timidamente spontaneo dell’autrice. La raffinata dolcezza del cantato non è però mai stucchevole, dimostrando piuttosto freschezza e versatilità notevoli: pur presentando strutture piuttosto semplici, i dodici brani di “Ashfield Avenue” – tutti di durata inferiore ai quattro minuti – si collocano ben al di là della sola formula chitarra-e-voce, per offrire briose melodie dal passo svelto e personalissime interpretazioni di una sorta di musical folk colorato da tenui tinte psichedeliche.
Decisivo, a tal fine, si rivela il contributo dei musicisti che affiancano la giovane artista spagnola in questo lavoro, apportandovi una notevole ricchezza strumentale (basso, banjo, organi, tromba) che si traduce in terreno fertile per farne rifulgere la flessibilità stilistica e la misurata disinvoltura del cantato.
Ne risultano dunque numerose ballate ariose, pregevolissimi accenni di intimismo chamber-folk (nel delizioso duetto con Gary Olson dei Ladybug Transistor in “Meltdown” e nella più cupa “Star For Mummy”), vellutate sonate al piano (“The Petal House”) e persino canzoncine uptempo giocosamente impertinenti (“Sugarman”).
Nelle varie sfaccettature assunte lungo il corso dell’album, la Bentley dimostra notevole personalità nell’adattarsi ai tanti diversi registri da lei stessa posti in essere, senza con ciò appiattirsi su modelli interpretativi univocamente individuabili, né tanto meno scontati: nessuna emulazione di Cat Power, aderenze con Joni Mitchell praticamente assenti, tutt’al più una vaga sensazione drakeiana nei pezzi di maggiore intimismo e piuttosto qualche affinità con Feist e con alcune interpreti femminili non così spesso citate, quali Natalie Merchant ed Edie Brickell. Proprio degli esordi di quest’ultima la cantautrice spagnola sembra ripercorrere le orme, non tanto per lo stile quanto soprattutto lo spirito lieve e innocente, espresso sia in delicate canzoni d’amore sia in quel senso di compenetrazione panica riscontrabile per esempio nella primaverile ballata “I Feel Alive” (“I’m in love with everything good I can see around, I remember picking flowers out of this town”).
Delizioso e divertito nella sua non comune naturalezza, “Ashfield Avenue” rivela il fulgido talento di un’artista completa e dalle notevoli potenzialità, in virtù delle sue aggraziate melodie e delle fascinose pennellate acustiche che rendono efficacissimi gran parte dei brani compresi in questo esordio piacevolmente sorprendente. E poi, come non sciogliersi a sentirla cantare suadente “I love you, I love you more than I think I can”?
(pubblicato su ondarock.it)