RETRIBUTION GOSPEL CHOIR – 2
(Sub Pop, 2010)

A smentire l’idea che l’album omonimo dei Retribution Gospel Choir potesse costituire soltanto un’estemporanea divagazione di Alan Sparhawk in chiave rock’n’roll, dopo un canonico intervallo di due anni, la Sub Pop licenzia la seconda prova sulla lunga distanza di questo terzetto che lo vede affiancato dal fido Steve Garrington (oramai stabile anche nella band ‘madre’) al basso e da Eric Pollard alla batteria. Stante dunque il protrarsi del silenzio dei Low, giunto ormai a oltre un triennio dallo spiazzante ma intensissimo “Drums And Guns”, si direbbe che Sparhawk abbia riversato notevoli energie sul progetto Retribution Gospel Choir, caratterizzato da sferzate elettriche e ritmiche oppressive come non mai, eppure non dimentico di angosciosi rallentamenti e atmosfere claustrofobiche, esaltate dall’abrasivo impatto sonoro del fragore chitarristico.

Il lavoro, intitolato semplicemente “2”, replica quanto già evidenziato nell’esordio, sin dalla concisione (la durata di poco superiore alla mezz’ora): non c’è più la produzione di Mark Kozelek, ma permane il medesimo spirito divertito e schietto, convogliato in un suono massiccio, che continua a non mostrare remore alcuna nelle sue aderenze da hard-rock anni 60-70, al massimo attualizzate secondo un lessico stoner.

Benché non molto sia cambiato, i vortici impetuosi e gli sferraglianti assolo, come quelli alla Deep Purple di “White Wolf” e del frammento di 43 secondi dall’emblematico titolo “’68 Comeback”, sono inframezzati da brani decisamente orecchiabili e dall’immediato “gancio melodico”, quali “Workin’ Hard” – il cui riff da stadio e le chitarre anthemiche, più che i maestri dell’hard-blues, richiamano quelli dell’AOR anni Settanta – o da composizioni dal suono compresso e distante che deflagrano improvvise (“Something’s Going To Break”, “Electric Guitar”).
Tuttavia, accanto a questa che ormai costituisce l’evidente “ragione sociale” dei Retribution Gospel Choir, nel lavoro convivono elementi riconducibili alla principale esperienza artistica di Sparhawk, in maniera ben più esplicita rispetto a quanto avveniva nel disco d’esordio. Così, dal compatto strato di violente propulsioni elettriche, affiorano di tanto in tanto mutazioni temporali al rallentatore e invocazioni oppressive, che, in particolare nella conclusiva “Bless Us All”, ritrovano un incedere ieratico che sembra celare solo in parte una sorta di bozzetto per un ipotetico brano dei Low. A caratterizzare ogni brano, del resto, rimane l’intensissima voce di Alan Sparhawk che, sia che sfoghi la propria rabbia oppure che si faccia più pacata ed elegiaca, riesce, in ogni caso, a rimanere profondamente comunicativa.

“2” è un album compatto e aggressivo, nato, probabilmente, da un’urgenza performativa piuttosto che espressiva, ma non si dimostra, così come non riusciva del tutto a fare il suo predecessore, all’altezza del notevolissimo impatto live della band, vera ragion d’essere dei Retribution Gospel Choir: se, infatti, dal vivo Alan e soci riescono a essere comunicativi, coinvolgenti e privi di leziosità, in studio rimangono piuttosto freddi e finiscono per ripetere stilemi piuttosto abusati, pur mostrando una certa classe e capacità compositiva.

Non resta che costatare, quindi, come il progetto Retribution Gospel Choir – originariamente concepito da Alan Sparhawk soltanto come un divertissment, come un veicolo per liberarsi della rabbia spesso compressa e sopita nei Low – si sia trasformato in un’esperienza stabile e articolata, che tuttavia, alla luce di questa seconda prova, mostra il fiato corto e un’evidente assenza di possibili future evoluzioni.

(in collaborazione con Francesco Amoroso, pubblicato su ondarock.it)

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