AMIINA – Puzzle
(Amínamúsik, 2010)

Si dovrebbe finalmente smettere di citare i Sigur Rós ogniqualvolta si parla delle Amiina: è pur vero che la collaborazione con la band di Jónsi Birgisson è stata fondamentale per far conoscere al mondo quello che in origine era soltanto un quartetto d’archi tutto al femminile, ma il permanere di quel riferimento sarebbe ormai fuorviante, oltre che sostanzialmente errato, per un gruppo che adesso conta sei componenti (due dei quali di sesso maschile) e si è ormai di fatto affrancato dal cono d’ombra dei più celebri connazionali, per camminare saldo e deciso sulle proprie gambe.

La prima è più evidente novità risultante da “Puzzle” riguarda appunto la formazione delle (anzi, sarebbe forse più corretto dire degli) Amiina, ampliatasi non solo in termini numerici ma soprattutto sotto il profilo della dotazione strumentale, adesso comprensiva di una più sensibile parte elettronica e – novità assoluta – della batteria. Di conseguenza, l’altra novità risiede nella varietà delle tessere di questo “Puzzle” sonoro, che si presenta ben più vivace e articolato rispetto a quanto espresso nel disco d’esordio “Kurr”.
Registrato sotto la guida di Birgir Jón Birgisson (già produttore del recente “A Chorus Of Storytellers” di The Album Leaf) e pubblicato dalla nuova etichetta creata dalla stessa band, l’album ne svela la transizione da un romanticismo etereo ma un po’ piatto, incentrato su archi e liquidi suoi acustici e analogici, e un più ampio ventaglio sonoro e stilistico che, oltre ad abbracciare l’elettronica, recupera sfumature prossime a certo post-rock cameristico e non disdegna tentativi melodici sotto forma di alcune vere e proprie canzoni, con tanto di parti vocali, ora esili ora più decise.

Se infatti nel substrato del lavoro ricorre inalterata l’accurata delicatezza di tessiture acustiche, liquide, romantiche, che rimandano inevitabilmente a un immaginario nordico dai colori adesso più vivaci, ancorché velato di immancabile malinconia, sull’ambience creata da gentili trame di archi, xilofono e strumenti-giocattolo si innestano ampie aperture armoniche e soluzioni strumentali che dischiudono nuovi scenari alle quattro musiciste islandesi. Le Amiina si mostrano qui molto meno timide rispetto a quanto offerto nel loro album di debutto, traducendo i cullanti accenni vocali, già presenti in “Kurr”, in melodie più decise e canzoni che non disdegnano spunti corali (“Over And Again” e il delizioso singolo “What Are We Waiting For?”), completati da scorci di minimalismo orchestrale e da insistite ritmiche dalle cadenze “post-“, che caratterizzano fortemente la danza di “Ásinn” e assumono persino sorde tonalità dai tempi dispari nello scatenato finale di “Sicsak”.

Più decisa ed estroversa, la musica della Amiina non smarrisce tuttavia i propri caratteri distintivi di meccanismo perfetto, che si muove con la lenta precisione di un ingranaggio nel quale gli strumenti si incastrano alla perfezione, dando nuovamente luogo ad atmosfere di grazia sospesa (“Púsl”), che non disdegnano di far affiorare limpide reminiscenze folk (“In The Sun”) e nel corso dell’album si alternano variamente con archi circolari, giochi elettroacustici prossimi a quelli dei primi Múm e aperture in crescendo mai così pronunciate. Tutti segnali incoraggianti, che attestano il processo di crescita di una band che, di tutta evidenza, non si accontenta più di vivere di sola luce riflessa, ma sta procedendo nell’elaborazione di una propria formula espressiva, che contempera i consueti florilegi cameristici con retaggi folk, elettronica e una grana strumentale finora mai così densa. Le quattro fanciulle dimostrano di essere cresciute e di non volersi certo fermare qui.

(pubblicato su ondarock.it)

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