HEIDI SPENCER AND THE RARE BIRDS – Under Streetlight Glow
(Bella Union, 2011)

Benché solo adesso pervenga a un debutto ufficiale a proprio nome, Heidi Spencer non è esattamente una novellina dello sterminato firmamento country-folk statunitense; originaria di Milwaukee, si è parimenti impegnata nel campo delle arti visive – studiando da regista e realizzando anche alcuni corti – e in quello musicale, nel quale vanta, tra l’altro, la partecipazione al piccolo culto di “City Of Festivals”, firmato dai Decibully.

La sua intensa vita on the road di regista nomade e turnista live per vari altri artisti ne ha inevitabilmente ritardato il momento del suo affacciarsi sulla scena discografica internazionale. Ci ha dunque pensato Simon Raymonde, che, reduce con la sua Bella Union da un 2010 da incorniciare, inaugura la nuova annata tenendo fede alla fama di scopritore di talenti in giro per il mondo e in ambiti musicali spesso tra loro diversi.

Così è anche nel caso di Heidi Spencer, interprete dalla tonalità vocale calda e aspra che, come tante altre odierne esponenti del cantautorato al femminile, guarda alla tradizione musicale americana ma che, a differenza della maggior parte delle sue “colleghe”, non si abbandona a narrazioni intimiste o a dolcezze sognanti, né tanto meno elegge il solo folk acustico a proprio esclusivo ambito di interesse.

Pur provenendo dalla fredda zona dei laghi, l’animo dell’artista del Wisconsin è rivolto verso gli Stati del sud, dei quali nel suo peregrinare da autentica bohemien ha catturato immagini e vibrazioni sonore adesso restituite lungo le dieci tracce di “Under Streetlight Glow”, album che la vede supportata dai cinque componenti dei Rare Birds, band incaricata del compito di “riempire” le scarne canzoni della Spencer. Nel suo songwriting, infatti, i “vuoti” assumono importanza pari rispetto ai “pieni”, come dimostrano fin da subito i continui stop and go e gli interludi di silenzio che puntellano insieme a un semplice schioccar di dita il tenebroso soul dell’iniziale “Alibi”. L’apporto della band risulta peraltro estremamente discreto, ritraendosi quasi completamente nei brani più essenziali (tra i quali meritano una menzione l’ottima title track e “Carry Me Softly”) e invece arricchendo di colorate sfumature tra country e blues elettrico ballate dai caldi sentori sudisti.

Le soluzioni offerte dalla band risultano peraltro tanto varie quanto misurate, spaziando dalla romantica nostalgia di pianoforte e archi di “Tried And True” al cammeo di fisarmonica che chiude la bluesy “Go To France”, fino al polveroso country di “Hibernation”, che fa quasi correre la mente alla versione più compunta del Jason Molina successivo alla svolta da cowboy (per intenderci, quello di “Soujourner” e dell’ultimo “Josephine”).

Ma nelle canzoni di Heidi Spencer c’è ben poca retorica passatista e praticamente nessuno dei facili cliché alt-country, e questo grazie a una scrittura misurata – anche se spesso un po’ troppo timida – e alle sue interpretazioni al tempo stesso vellutate e asprigne, che per risplendere mancano forse soltanto di una maggiore decisione e di un substrato dal più ampio respiro armonico. Adesso che la strada verso la produzione discografica è stata aperta, mezzi, tempo e possibilità per affinare scrittura e convinzione di sé certamente non le mancano.

(pubblicato su ondarock.it)

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