FEU THERESE – Feu Therese
(Constellation, 2006)

I Fly Pan Am sono stati forse la più stravagante tra le band canadesi coagulatesi intorno all’etichetta Constellation e fatte ricadere, più o meno a ragione, nell’onnicomprensivo calderone post-rock. Con parziale eccezione del loro primo, omonimo lavoro, hanno infatti sempre seguito percorsi artistici propri, piuttosto lontani da quelli dei mille rivoli del collettivo Godspeed You! Black Emperor, con i quali, al di là del differente approccio stilistico, sono stati ben pochi i punti di contatto, anche quanto a collaborazioni e contaminazioni reciproche.
Mentre l’esperienza dei Fly Pan Am risulta al momento quiescente dai tempi dell’impetuoso e bizzarro affresco di avant-noise di “N’Ecoutez Pas”, il chitarrista della band, Jonathan Parant, si presenta con un nuovo progetto artistico, Feu Thérèse, nel quale viene affiancato da altri musicisti tra i quali il bassista e manipolatore di suoni Alexandre St-Onge (già attivo in Et Sans e Shalabi Effect). Il risultato è un obliquo avant-rock , dalle ossimoriche sembianze vintage , che trae origine dai rimaneggiamenti sonori propri dei Fly Pan Am per dar vita a una complessa stratificazione di trame sonore improvvisate o attentamente costruite, secondo un’eccentricità un tantino narcisistica, spesso sfociante in dissonanze a tratti disturbanti.

Le suggestioni di questo lavoro sono comunque molteplici: dalla psichedelia deviata degli anni 60 a contorte tracce wave, da intuizioni vagamente free-jazz al palese omaggio, concettuale ed estetico, alla memoria del compositore d’avanguardia Luc Ferrari, cui l’album è dedicato. Non a caso, l’apertura è affidata a “Ferrari En Feu”, brano sufficiente a chiarire da subito le idee sulla cifra sonora della band, con i suoi sei minuti equamente divisi tra iterativi schizzi di synth e una base ritmica costante, sulla quale si scontrano derive psichedeliche di fondo e improvvisazioni chitarristiche. Da queste riparte, tendendole all’eccesso, “Mademoiselle Gentleman”, con le sue scarne linee di basso e le chitarre fragorose, sostenute da uno sghembo drumming e sporcate dall’irrompere repentino del synth, ora graffiante, ora più fluido, quasi a disegnare nostalgici arabeschi in chiave space-rock .

“Tu N’Avais Qu’Une Oreille”, brano relativamente più piano e unico a presentare accenni vocali, inizia invece con cadenze ritmiche prossime a destrutturazioni sonore post-rock per poi contorcersi su se stesso in una controllata esplosione di chitarre sull’ormai consueta base acida e studiatamente trasandata. Le due composizioni restanti accentuano ancora le tendenze sperimentali della band: “L’Homme Avec Couer Avec Elle” inizia con un vortice sintetico tempestato da una ritmica aspra e incalzante, che si dissolve, nella seconda parte del brano, in una bizzarra improvvisazione jazzy , tra sassofoni e chitarre stridenti.
Infine, la prolissa “Ce N’est Pas Les Jardins Du Luxembourg” (dodici minuti) chiude il lavoro alternando prolungati ronzii d’organo, blip elettronici e ambientazioni vagamente orientaleggianti.

Nel suo complesso, il disco dimostra senza dubbio un buon livello qualitativo, non risultando per nulla scontato, come del resto tutti i lavori dell’ottima Constellation. Nei suoi quaranta minuti di idee ce ne sono tante, forse persino troppe; peccato, però, che spesso il vorticoso e studiato caos compositivo finisca per creare un certo disorientamento e la band (fedele alla logica “auto-sabotatrice” propria anche degli ultimi Fly Pan Am) si involga a tratti su se stessa, perdendosi un po’ tra i tanti elementi della sua molto personale, ma altrettanto autoreferenziale, interpretazione di questa specie di space-rock macchiato di jazz e stramberie varie.

(pubblicato su ondarock.it)

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