DIRGE – Rebecca
(Another Record, 2007)

I Dirge sono un terzetto francese, formatosi a Rouen alla fine del 2001, che fin dall’inizio della sua attività si è posto come obiettivo la fusione delle potenzialità emotive del post-rock con l’immediatezza lo-fi degli Arab Strap e con le atmosfere malinconiche dell’ombroso songwriting dei Tindersticks. L’impresa non è ovviamente da poco, poiché le sue coordinate presuppongono notevoli capacità di sviluppo di un suono in prevalenza basato sull’accostamento tra chitarre elettriche e costruzioni d’impronta orchestrale, qui implementate dal ricorrente innesto del violoncello di Mirjam Tautz, musicista tedesca di formazione classica e vero fulcro artistico dei Dirge; infatti, non solo proprio intorno a lei sì è originariamente coagulata la band, ma il contributo del suo strumento risulta fondamentale nel conferire profondità a quell’impostazione orchestrale in miniatura che, già elaborata nel precedente album “Loïs” del 2003 e in un paio di altri Ep, trova in “Rebecca” compiuta espressione.

Con questo lavoro (che andrebbe considerato una sorta di mini-album, in ragione della durata inferiore alla mezz’ora), i Dirge approdano all’interessante etichetta francese Another Record, presentando sette tracce dalle quali traspare una notevole maturità artistica, volta non alla mera riproposizione della formula del post-rock emotivo, ma all’evoluzione delle componenti più morbide e toccanti del genere, secondo una sensibilità che non disdegna la melodia e una forma canzone lirica e dagli pronunciati tratti cantautorali.

I sette brani di “Rebecca” illustrano in maniera esauriente le caratteristiche della band, che alterna composizioni articolate a “canzoni” a tutti gli effetti, connotate o da una veste sonora quieta e notturna, incentrata sull’intreccio vocale e poco altro (la conclusiva “The Smithdown Ten” ), o anche su trame sonore più movimentate, che strizzano l’occhio a un indie-rock di ascolto accessibile, ma pur sempre raffinato e sufficientemente originale, come dimostra “Summer Single”, brano di spiccata fruibilità cui contribuisce anche Cyann del duo Cyann & Ben. L’afflato romantico e la profonda malinconia, veri tratti salienti del suono dei Dirge, si manifestano però alla perfezione soprattutto nelle languide melodie disegnate dal violoncello che in un lento divenire avvolgono, nell’iniziale “You’ve Grown Away From Me”, la voce suadente del chitarrista Yann Lafosse, scarne linee elettriche e ritmiche compassate, dando luogo a un crescendo che pure non trova esito liberatorio nella prevedibile esplosione, mantenendo invece latente la tensione emotiva così gradualmente costruita.

Morbide atmosfere dai toni sommessi, che rimandano tanto agli Early Day Miners quanto agli ultimi Black Heart Procession ricorrono anche nel dolce crescendo di “My North Eye” e nei due episodi centrali del lavoro, complessi e densi di fascinazioni molteplici. “Bottles Of Memory” e “Tourette” sembrano, infatti, le possibili declinazioni in forma melodica, concisa e cantata di tante recenti esperienze post-rock, ma non solo: “Bottles Of Memory” spiega al massimo la nostalgia latente in tutto il disco, attraverso ritmiche asciutte, addolcite soltanto dall’onnipresente violoncello della Tautz, che incastona atmosfere accostabili tanto a quelle degli Hood di “Rustic Houses, Forlorn Valleys”, quanto soprattutto dei Silver Mt. Zion, quasi citati nell’aspro finale orchestrale di un brano che potrebbe ben rappresentare la possibile evoluzione armonica delle sghembe melodie recentemente proposte dal collettivo canadese; “Tourette” prosegue poi su una linea non dissimile da quella del brano precedente, sulla quale s’innestano dapprima dilatazioni al rallentatore e poi oscuri spasmi di disperata espressività.

I riferimenti contenuti nei brani di “Rebecca” sono, com’è evidente, vari e articolati; eppure, da tutti emerge la freschezza complessiva di un lavoro nel quale la band francese riesce a dar compiuta prova dei diversi tentativi di perseguire l’evoluzione di una forma espressiva, dalle potenzialità non ancora esaurite, ove non ci si limiti a ricalcarne i soli aspetti superficiali. Come, nell’anno appena trascorso, validissime proposte di rinnovamento e traduzione del post-rock emotivo sono state fornite, in senso cameristico dagli Anoice e in senso elettronico dai Sierpinski, così adesso i Dirge delineano per il genere un percorso melodico, romantico e prossimo a un accostamento con la forma canzone. E il risultato, in questi ventisette minuti di musica, è senza dubbio gradevole, efficace e per nulla ridondante.

(pubblicato su ondarock.it)

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