ARCA – On Ne Distinguait Plus Les Têtes
(Ici D’Ailleurs, 2007)

Le continue mutazioni di forme espressive riferite a impostazioni di base costanti sembrano essere carattere comune di alcuni artisti contemporanei riconducibili all’esemplificativa categoria dei “compositori”, ma capaci di declinare la loro formazione classica secondo una sensibilità moderna e altresì aperta a sonorità e sperimentazioni molteplici. Basti pensare, ad esempio, al variegato percorso artistico di Yann Tiersen e alle esplorazioni elettroacustiche di Keith Kenniff in Helios, alternate al piano solo di Goldmund e addirittura alla sua incarnazione elettrica in Boy In Static. A questi e ad altri nomi di “compositori mutanti” può certamente accostarsi quello di Sylvain Chauveau, già autore di alcuni album di minimalismo incentrato sul pianoforte, impegnato in esperienze elettroniche (On, Micro:mega), nonché titolare, insieme al bassista Joan Cambon, del progetto Arca, improntato fin dalla sua origine alla descrizione di paesaggi malinconici, attraverso l’intreccio tra chitarre, ritmiche sfumate e calde sonorità elettroniche.

“On Ne Distinguait Plus Les Têtes”, terzo album di Arca, giunge a ben quattro anni di distanza del precedente “Angles”; quattro anni nel corso dei quali è tra l’altro intervenuta la significativa novità della “scoperta” da parte di Chauveau dell’elemento vocale, coincisa con l’inserimento del suo cantato suadente ed espressivo nell’album di cover dei Depeche Mode, “Down To The Bone”. Desta, dunque, una sorpresa soltanto parziale intraprendere l’ascolto di questo lavoro e trovarsi subito in presenza non del post-rock morbido e cinematografico che aveva caratterizzato le precedenti opere a nome Arca, bensì di un brano, dall’ossimorico titolo “Unspeakable”, nel quale la voce di Sylvain Chauveau scorre placida su scarne linee armoniche, dalle atmosfere soffuse e notturne. Non si tratta però di un episodio isolato, poiché ben sette delle dieci tracce comprese in quest’album sono vere e proprie “canzoni”, nelle quali si rivela l’incedere indolente del songwriting del compositore francese, accostato a contesti sonori di volta in volta differenti: dalle voci lontane su una coltre sonora visionaria di “Stonefall Inside” alle dilatazioni ovattate di “Breakout”, dall’esile romanticismo di “Laced By The Night” – che ricrea proprio la magia minimale di “Down To The Bone” – alle screziature elettroniche e alla compassata iterazione di linee di basso che nell’ottima “Lonesome Witness Of Her Nudity” costituiscono l’unico contrappunto a una quiete raffinata e alla voce cullante di Chauveau.

Al di là delle forme da essi assunte, gli elementi essenziali della scrittura di Sylvain Chauveau, così come espressi in Arca, permangono vieppiù inalterati nei pochi brani strumentali, che offrono un’ampia rassegna di desolati scorci in chiaroscuro, attraverso semplici loop chitarristici ed elettronici (“Maybe Chicago”) o persistenti frammentazioni di field recordings e armonie in graduale crescendo di tono e definizione (“On Discernait Un Visage”). Sono proprio questi i passaggi ove è ancora possibile riscontrare piccole schegge compositive dell’originaria matrice post-rock di Arca, da sempre morbidamente diluita da manipolazioni elettroniche e dalla semplice orchestralità che qui si esprime in “7, Will Scheidmann” e, in parte, nella splendida “Sunday Negative”, ove forma canzone e sensibilità moderatamente sperimentale si fondono in maniera mirabile, disegnando un brano intriso di nostalgia, impreziosito dall’intensità degli archi.

Risiede, con tutta probabilità, nelle soluzioni adottate in questo brano l’essenza sottesa a “On Ne Distinguait Plus Les Têtes”, lavoro che costituisce un importante stadio evolutivo nel percorso artistico del compositore francese, il quale sembra qui voler “tirare le somme” delle sue diverse esperienze, concentrando in un’opera sola afflato classico, ricami elettroacustici e (ri)scoperta di un’elegante songwriting. L’ibridazione tra tale varietà di elementi può dirsi, nel complesso, riuscita, anche perché in essa Sylvain Chauveau riesce nel non banale intento di restituire voce e fruibilità a trame sonore di indubbio fascino, rifuggendo così i rischi di derive cervellotiche e anzi arricchendo di ulteriori sfaccettature la sua già poliedrica capacità espressiva.

(pubblicato su ondarock.it)

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.