TEARS RUN RINGS – Always, Sometimes, Seldom, Never
(Clairecords, 2008)

Più che il debutto di una nuova band americana affascinata dai suoni britannici degli anni 90, il primo album dei Tears Run Rings è un curioso esperimento di trasformazione sonora ad opera di artisti non proprio alle prime armi, nonché l’ennesimo esempio di come, nell’era di internet, la comunanza geografica non sia più necessariamente sottesa al concetto di band e alle creazioni che ne derivano.
Sotto il nome di Tears Run Rings trovano, infatti, una nuova vita artistica quattro musicisti in presenza attivi in ambito twee-pop (già nei The Autocollants e comunque gravitanti intorno all’etichetta specializzata Shelflife), sparsi tra Portland, Seattle e Los Angeles, che hanno realizzato quest’album d’esordio con le modalità rese celebri dai Postal Service, ovvero scambiandosi cd-r o file attraverso la rete, e incontrandosi solo raramente nei ritagli di tempo, per buttare giù soltanto gli scheletri di canzoni alle quali poi ognuno ha lavorato in maniera autonoma.

Ne risulta, quasi inevitabilmente, un lavoro poco omogeneo ma ricco di spunti e caratterizzato dall’idea cardine della trasformazione della perdurante sensibilità indie-pop di base dei componenti della band attraverso pervasive tracce di feedback o venature darkeggianti o ancora atmosfere di avvolgente malinconia.
Se si eccettuano i due brevi frammenti quasi ambientali collocati all’inizio e alla fine del lavoro, nel corso dell’album è offerta ampia rassegna delle potenzialità mutanti di canzoni semplici che, se private della ruvidezza conferita dalle chitarre e dalle ritmiche, esprimerebbero quasi soltanto il loro aspetto pop, talora persino zuccheroso.

Invece, l’omaggio – ormai così diffuso oltreoceano – alla wave e allo shoegaze inglesi scompagina il quadro di riferimento dei Tears Run Rings, facendo assumere ai loro brani fattezze di volta in volta diverse, ammantando i loro suoni di una nostalgia nemmeno dissimulata ma, con tutta evidenza, rispondente a un’inclinazione del tutto personale. Certo, può risultare singolare riscontrare nell’album aderenze tanto con le più dense atmosfere dei Mission quanto (soprattutto) con le band più sognanti del periodo shoegaze, ma la cosa più sorprendente è che a proporle non sono giovani emuli britannici con i capelli davanti agli occhi ma quattro navigati artisti americani, improvvisamente “fulminati” sulla via delle chitarre e dell’onirica impalpabilità dei suoni.
Benché alcuni degli episodi compresi in “Always, Sometimes, Seldom, Never” (in particolare quelli dalle tinte oscure più pronunciate, come “Run Run Run”) possano suscitare qualche perplessità, l’album scorre in maniera piacevole, sulle ali del frequente intreccio tra il cantato maschile e quello femminile di Laura Watling e sulle tre chitarre, le liquide cascate del cui feedback sommergono canzoni dirette (“Fall Into Light” e la scatenata “Send Me Back”) e, più spesso, melodie eteree che rimandano in maniera esplicita a band quali Chapterhouse e Slowdive.

Come sempre avviene quando si è alle prese con album in cui le buone componenti espressive si affiancano a un palese citazionismo, il giudizio complessivo sull’opera dipende quasi esclusivamente dall’approccio personale all’ascolto. Basti allora sapere che questo debutto dei Tears Run Rings risulta, se non altro, una reinterpretazione autentica di sonorità ben note, privo di pretese e non indulgente a una contemplazione meramente nostalgica. È vero che, chiudendo gli occhi, almeno un paio dei brani qui compresi potrebbero essere scambiati per pezzi degli Slowdive: ma non è detto che sia un difetto…

(pubblicato su ondarock.it)

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