HARUKO – Wild Geese
(Bracken, 2009)

Non ci si lasci ingannare dall’alias, non si è in presenza del nuovo fenomeno j-pop né tanto meno dell’ennesimo manipolatore di suoni proveniente dall’impero del Sol Levante. Haruko ha origini mitteleuropee e radici ben piantate nella tradizione folk delle due sponde dell’Atlantico: si tratta infatti di una giovane artista tedesca, Susanne (Susi) Stanglow, che reinterpreta secondo la propria sensibilità frammenti di folk evocativo, scritto e realizzato in maniera del tutto casalinga, attraverso una strumentazione ridotta all’osso e secondo un’estetica naturalmente tendente alla bassa fedeltà.

È la stessa Susi nelle note di copertina – stampate su una sorta di pergamena acclusa all’inedita confezione in formato vinile dell’edizione cd, che comprende anche i testi dei brani vergati a mano – a dirsi non integralmente soddisfatta della resa del lavoro, un po’ per l’ingenua spontaneità dalla quale è stato partorito, un po’ per essere la registrazione avvenuta nella sua stanza, talvolta dopo una vera e propria lotta con rumori di fondo che improvvisamente ne pregiudicavano la riuscita. Eppure, entrambi questi elementi accentuano i caratteri salienti di questo ispirato debutto, ammantando di una sensazione di “presa diretta” e di un ordito di tenui crepitii la cristallina chitarra acustica e l’evocativa voce della Stanglow, che per poco oltre quaranta minuti tratteggia ballate folk e torch songs nelle quali sogni, incubi e racconti fantastici si intersecano con delicate narrazioni sentimentali e con un latente spirito panico, che si traduce in frequenti riferimenti stagionali e in una vera e propria compenetrazione con elementi paesaggistici e atmosferici.

Basta poco per farsi avvincere dal mondo visionario di Haruko, dal suo picking gentile ma ossessivo e dal fascino della sua voce sottile, che declama testi in alcuni casi davvero torrenziali (basti scorrere le allucinate avventure nel bosco e nel deserto di “The Mountain Adventure” e “The Dragon’s Tears”), concepiti più come narrazioni dal sapore letterario che non come vere e proprie canzoni. Temi e modalità narrative rimandano infatti piuttosto alle novelle della tradizione orale europea, ai racconti fantastici e amorosi dei trovatori, tutt’al più caratterizzati da espressioni o soluzioni armoniche ricorrenti, che plasmano la fisionomia di ballate le cui solitarie trame acustiche fanno spesso soltanto da sfondo e base (più o meno) ritmica a racconti da esse parzialmente svincolati.

L’esiguità dei mezzi a disposizione e quella strumentale (solo in “Autumn, Golden Trees” si affacciano anche limpide note di vibrafono) tendono a tratti a palesare un certo inevitabile appiattimento di registro, ciononostante la Stanglow riesce a calibrare la sua chitarra secondo almeno un paio di direttrici ben individuabili, comprese tra i due estremi della delicata placidità di un Morgan Caris al femminile e moderate torsioni vagamente wyrd. Queste ultime, ancorché alquanto timide, stupiscono per la loro disarmante semplicità e per il loro essere modulate, senza enfasi alcuna, quasi esclusivamente dalle tonalità di un’interpretazione in qualche caso affine a quella di un’acerba Alela Diane.
L’analogia del campo musicale di riferimento e la produzione del tutto casalinga del lavoro rendono infatti ragionevole il paragone con le prime prove autoprodotte dell’artista di Nevada City e in parte della sua concittadina Joanna Newsom: ebbene, può dirsi senza esitazioni di sorta che la giovane artista tedesca non uscirebbe sconfitta dal confronto e che anzi la sua relativa insoddisfazione per la riuscita dell’opera costituisce ulteriore elemento per apprezzarne la tensione a un continuo miglioramento, in termini tanto di maturità quanto (auspicabilmente) di perizia realizzativa.

Per intanto, non resta che godere dell’immediatezza di questo “Wild Geese”, lasciandosi trasportare dalla voce e dalla chitarra di Haruko nel suo mondo simbolico fatto di fronde oscure, cristalli di neve, cascate immaginarie e popolato da spiriti e draghi dal cuore sensibile, in un rosario di immagini e sensazioni fors’anche un po’ naif ma senz’altro capaci di far innamorare della loro sorprendente freschezza e spontaneità.

(pubblicato su ondarock.it)

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