Roma, Circolo degli Artisti, 25 marzo 2010
La nuova policy relativa all’orario di inizio dei concerti stagionali – che finalmente allinea Roma alle capitali europee – viene mantenuta in maniera scrupolosa anche in occasione dell’attesissimo (e non a caso sold out) evento che vede protagonisti i tedeschi Notwist.
Così, sono le ventidue in punto quando aprendo la porta interna del Circolo degli Artisti si viene accolti dalle prime note di “Pick Up The Phone” e, nella sala gremita, si viene subito proiettati nel cuore dell’immaginario di una delle band che meglio sono riuscite a incarnare la transizione del nuovo millennio, coniugando in forma sostanzialmente pop retaggi elettronici teutonici e lontane radici punk rivedute al tempo del post-(indie)-rock.
I fratelli Archer al centro del palco, a guidare il sestetto che fin dall’inizio del set getta sul tavolo tutte le sue credenziali dando luogo a quegli inafferrabili intrecci melodici, esaltati dalla trasognata voce di Markus Acher, intorno a quali scorrono da un lato chitarre roboanti e ritmiche incalzanti e dall’altro synth e tastiere avviluppanti, in una intersezione che scolora di continuo e senza nessun apparente iato.
L’inizio al fulmicotone – con una delle più travolgenti popsongs del decennio appena trascorso – è soltanto il preludio a una prima parte del concerto incentrata soprattutto su brani tratti dall’ultimo “The Devil You + Me”, che dal vivo assumono forme e strutture decisamente più solide rispetto a quanto mostrato nelle versioni in studio.
La prima metà del set è altresì quella maggiormente incentrata sulle canzoni o comunque sull’aspetto di più pronto impatto su un pubblico numerosissimo e vibrante, composto in buona parte da giovanissimi, che mostra una conoscenza dei brani e delle melodie quasi sorprendenti in un’epoca in cui tutto scorre veloce, senza consentire nemmeno il tempo dell’assimilazione. Eppure è proprio questa la misura della dimensione raggiunta nel corso degli anni dai Notwist e della loro capacità di penetrazione dell’universo latamente “indie” attraverso una proposta sonora in continua mutazione eppure riconoscibile ed efficace come pochissime altre in circolazione.
Ulteriore prova della naturalezza con la quale la band tedesca riesce a mutare pelle è data dai mille riferimenti che balenano nella mente nel corso dei novanta minuti del concerto, che vanno dai pionieri dell’elettronica anni 80 a band chitarristiche da alt-rock 80-90 quali addirittura Jesus & Mary Chain e Smashing Pumpkins. Tutto ciò avviene mentre con la stessa nonchalance i sei uomini sul palco si scambiano posizioni e strumenti, passando dalle chitarre alle tastiere, da brani dalla quasi esclusiva indole elettrica a saggi di elettro-pop (le ottime “Where In This World” e “On Placet Off”, fino a jam elettroniche incandescenti, come in particolare quella che trasfigura completamente “Pilot” in un lunghissima sbornia da dancefloor, che dell’originale mantiene poco più che il trascinante ritornello, affogato in un mare di ritmi e tastiere tali da far smarrire ogni coordinata stilistico-temporale agli astanti, coinvolti da estatico rapimento.
Devono averlo colto anche i sei sul palco, che per un’ora e mezzo complessiva offrono un set denso e pulsante, concedendo forse poco allo spettacolo ma mostrando di divertirsi con consumata perizia, e non si fanno pregare più di tanto per tornare per ben due volte in scena ad offrire quattro brani aggiuntivi. Così, quando il secondo brano del secondo bis (“Gone, Gone, Gone”) si atteggia a saluto conclusivo della serata, la percezione generale di un pubblico ormai provato, emotivamente e anche fisicamente, è quella di aver assistito alla performance di un sapientissimo gioco di specchi, che restituisce riflessi, luci e suoni non più classificabili sotto la semplicistica definizione di indie-tronica. I Notwist sono qui e ora, e dal vivo lo dimostrano ancora attraverso una vivida capacità di autorielaborazione che riesce a valorizzare anche i brani più recenti, che su disco pagavano l’inevitabile dazio a opere di grande levatura quali “Neon Golden” e il mai abbastanza incensato “Shrink”.
(pubblicato su ondarock.it)