THE R.G. MORRISON – Farewell, My Lovely
(Loose Music, 2010)

Rupert Graeme Morrison è un tranquillo giovane inglese del Devon, che di tanto in tanto si diverte a scrivere canzoni da suonare con la band che porta il suo nome. Non si pensi però a un eccesso di protagonismo, tanto più che Morrison è un cantautore piuttosto particolare, sia per essersi scoperto tale solo nel 2005 al momento di por mano al debutto “Learning About Loathing”, sia per l’estrema dilatazione delle sue uscite, che lascia evincere un’attività del tutto saltuaria e anche per questo rispondente alla sola ispirazione del momento.

Così, dopo un silenzio di circa cinque anni, il suo quartetto The R.G. Morrison torna a farsi sentire con un interessante mix di fragile folk drakeiano, richiami al country-folk statunitense, romanticismo orchestrale e qualche repentina iniezione elettrica.
Benché una placida impronta malinconica connoti fin dal titolo “Farewell, My Lovely”, il lavoro, registrato per via analogica nel corso di un fine settimana, si presenta al tempo stesso disadorno e sufficientemente catchy, quanto meno per poter seguire la scia di recenti exploit dell’indie-folk britannico, quale quello che ha avuto per protagonisti i Mumford & Sons.
Gli occhieggiamenti a una forma espressiva più vivace e di facile impatto sono però quasi tutti circoscritti alla rock ballad “It’s Not How You Love” e alla penetrante incursione elettrica della seconda parte di “Songbird”, decisamente brusche, ma in fondo non così stridenti da un contesto che pure resta incentrato su una soffusa prevalenza acustica, sulla morbida voce di Morrison e su melodie sempre molto piane e intrise di nostalgia.

A completare il quadretto bucolico, provvedono poi i raffinati duetti di Morrison con la brava Sarah Jane e i timidi arrangiamenti da piccola ma aggraziata orchestra folk, che attraverso il frequente romanticismo di archi e pianoforte conferiscono un’aura delicata e fuori dal tempo a brani al cui interno scorrono senza apparente soluzione di continuità immagini di un western desertico e di un’umida brughiera inglese. Bisogna infatti riconoscere al buon Rupert Graeme, accanto a un’apprezzabile sensibilità melodica, quanto meno la capacità di non appiattirsi su specifici modelli cantautorati di riferimento, ripercorrendo invece con sguardo d’insieme le highway americane di Sparklehorse o Damien Jurado, l’elettro-country dei Grandaddy e le limpide trame acustiche di José González.
Si aggiunga poi l’evidente confidenza del timbro di Morrison con ballate sospese e non poco intriganti, che a più riprese ammiccano al fascino pacato di un Ryan Adams e addirittura sfociano, nella cantata per piano “I Won’t Waltz”, in qualcosa non poi così distante dal caratteristico humming di Thom Yorke.

Eterogeneo quanto basta a non rendere monotona la sua successione di brani dal comune registro di base, “Farewell, My Lovely” si atteggia comunque quale valida raccolta di un artigianato folk sentito e ben rifinito nel suo placido dipanarsi tra tradizioni musicali e riferimenti stilistici diversi. Quanto basta per salutare con piacere il ritorno sulle scene della band guidata da Rupert Graeme Morrison e augurarsi che l’addio di cui al titolo del disco rappresenti solo una manifestazione del mood malinconico del suo contenuto e non invece un messaggio rivolto ai pochi cultori della musica del cantautore della Cornovaglia, peraltro già abituati alle lunghe intermittenze della sua pregevole vena scrittoria.

(pubblicato su ondarock.it)

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