PUZZLE MUTESON – En Garde
(Bedroom Community, 2011)

L’irresistibile richiamo dell’Islanda colpisce ancora.

Stavolta, però, non si tratta di qualche artista o band già affermati che, stregati dal fascino unico della terra geologicamente a cavallo tra Europa e America, hanno deciso di recarvisi con l’intento di aggiungere alla loro musica raffinate sfumature nordiche. Nel caso del misterioso artista inglese che si fa chiamare Puzzle Muteson, l’Islanda è invece veicolo di disvelamento di un talento finora rimasto confinato, anche per propria scelta, nella solitudine dell’isola di Wight, dove il giovane londinese si era rifugiato ormai da qualche anno.

La storia comincia nell’ormai lontano 2006, quando Puzzle Muteson riunisce una manciata di canzoni sotto il titolo di “Meadow Brown”, più che un album vero e proprio, una sorta di demo autoprodotto e dalla qualità sonora non eccelsa, dal quale tuttavia potevano già evincersi ottime potenzialità cantautorali e un fingerpicking spiccatamente cristallino. Nonostante una diffusione praticamente nulla, il demo finisce tra le mani del celebrato compositore Nico Muhly, che se ne innamora a tal punto da mettersi in contatto con l’artista inglese, invitandolo a registrare il suo primo album vero e proprio in Islanda e affidandolo alle cure di Valgeir Sigurðsson, che l’ha prontamente ingaggiato nel roster della sua Bedroom Community.

Le risultanze di questa nuova e imprevedibile esperienza collaborativa sono adesso raccolti in “En Garde”, disco che a cinque brani inediti (sei con il bonus digitale) ne affianca altrettanti già presenti in “Meadow Brown”, rielaborati e rifiniti attraverso arrangiamenti d’archi e altre finiture, sonore che costituiscono firme ormai riconoscibili dei due compositori e produttori islandesi – per nascita o elezione artistica – che vi hanno partecipato.

Si può, dunque, pensare a un’operazione non poi così distante da quella che ha riguardato il compagno d’etichetta Sam Amidon, anche se il registro di Puzzle Muteson è rivolto in maniera quasi esclusiva a un fragile intimismo acustico, che negli aggraziati innesti di archi, minute vibrazioni e ovattate dilatazioni trova un complemento tanto ricco quanto niente affatto in contraddizione con l’essenzialità di fondo dell’originaria formula chitarra-e-voce.

Prova più evidente ne sono le rinnovate versioni dei brani già compresi in “Meadow Brown”, rivisitati con sapienza da Sigurðsson, che non si è limitato alla “pulizia” del suono né a giustapporre una cornice a canzoni già fatte e finite; con grande delicatezza, il compositore islandese ha integrato i suoi arrangiamenti con gli scheletri acustici dei brani, facendoli diventare qualcosa di più fluido e arioso, ora attraverso sfumature romantiche e campestri, ora attraverso ambientazioni vaporose e comunque sempre illuminate da una luce serena, ideale contorno al tono tremulo e serafico di Puzzle Muteson. È questo il caso, soprattutto, dell’ampia apertura d’archi di “Flamingo Head” e della fiorita melodia pianistica di “Water Rising”.

Le orchestrazioni di Valgeir Sigurðsson aggiungono senz’altro forza espressiva allo scarno songwriting dell’artista inglese, tuttavia sarebbe fuorviante pensare che siano esse sole a rappresentare il fulcro di “En Garde”. Puzzle Muteson ci mette infatti molto del suo per la riuscita di un lavoro che resta pur sempre incentrato su un picking scorrevole e armonioso, sul quale scorrono interpretazioni agrodolci, in prevalenza smorzate, ma anche capaci di inarcarsi nell’aspro falsetto di “Alphabet Eyes” e di adeguarsi a toni più elevati e veloci nell’ottima title track.

Ed è proprio quest’ultima a segnare il punto di più tangibile scostamento dalla sostanziale uniformità di un album che pure, tra l’intimismo ombroso di “Glover”, la quieta evocatività di “Medusa” e il toccante romanticismo di “Perspex Disguise”, scorre via placido, senza particolari picchi di facile emotività. Non per questo, però, si tratta di un lavoro piatto o ripetitivo, quanto invece di una raccolta di canzoni impostate sulle atmosfere più che su una scrittura comunque pregevole, che rifulge al meglio nel contesto atmosferico e sonoro di un’Islanda bucolica e incantata, svelando gradualmente la sensibilità di un artista finora nascosto nell’ombra dell’anonimato e adesso rappresentativo del punto d’equilibrio tra l’anima folk e quella orchestrale-ambientale della scuderia Bedroom Community.

(pubblicato su ondarock.it)

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