MIA DOI TODD – Gea
(City Zen, 2008)

Non solo cantautrice, ma artista a tutto tondo (poetessa, pittrice, ballerina), Mia Doi Todd, adesso giunta al suo settimo album, è una delle tante voci femminili che si collocano nell’ampio solco tracciato da autori parimenti rivolti alla scoperta di un folk tradizionale e all’applicazione di un piglio personale a schemi musicali nei quali è arduo inventare qualcosa e nei quali quindi risultano decisive la sensibilità e la capacità di scrittura del singolo interprete.
Ed è proprio la sensibilità e l’attenzione ai caratteri più rinomati della tradizione americana a costituire il substrato che guida Mia Doi Todd in questo suo omaggio alla Madre Terra, denso di sentori ancestrali, eppure declinato secondo un registro di delicata misuratezza, scevro da cedimenti a forzate ridondanze psych, eppure ugualmente in grado di conseguire un risultato di lieve e trasognato straniamento.

Sono infatti la voce piana ma ferma di Mia e gli accordi circolari della sua chitarra a intessere mantra di scarna ma avvolgente efficacia, arricchiti soltanto da moderate componenti ritmiche e circondati da fondali ipnotici persistenti, nei quali l’onnipresente organo lascia talora spazio ad ariosi inserti d’archi.
Se gli oltre dieci minuti dell’imponente incipit “River Of Life/ The Yes Song” potrebbero lasciar presagire un lavoro fin troppo ripiegato sugli aspetti ritualistici, la limpida naturalezza di Mia riesce a bilanciare tale pur palese impronta con il calore aggraziato e a tratti latineggiante delle note acustiche e con interpretazioni che di volta in volta assumono seducenti contorni onirici (“Night Of A Thousand Kisses”), venature oscure (“Bad Wolf & Black Widow Spider”), fino a raggiungere vette di sobria e toccante intensità (“Sleepless Nights” e la splendida “In The End”).

La celebrazione folcloristica attuata in “Gea” segue la scia luminosa delle poetesse folk/flower power dei tempi perduti, da Linda Perhacs a Vashti Bunyan, mentre la polivalenza compositiva del suo estro conduce a più riprese verso differenti sfaccettature stilistiche. L’innata predisposizione a travestire puntualmente le proprie creature armoniche con abiti diversi è parte integrante del Dna artistico della musa losangelina.
E così, “Sleepless Nights” va a specchiarsi in un giretto acustico di ineccepibile fascino, prima che un miagolio depresso induca la nostra fanciulla a mostrarci tutto il suo candido tormento. Seppur non nascondendo i propri malesseri interiori, il dado è tratto senza rinunciare mai a una profonda eleganza esecutiva.
In “Esperar Es Caro” intimismo e evasione etnica corrono all’unisono, sollevati dalla stessa passione, mentre la caliente “Kokoro” va a collocarsi di scatto ancora più a sud: con essa la Doi Todd fugge via, lontano, adagiando le sue grazie su paesaggi andalusi, tra saliscendi a ventaglio e lamento gitano.

Potremmo immaginarla tutta vestita di rosso, con le braccia incrociate verso l’alto, a indicarci un nuovo arcobaleno, prima di girare su stessa a piccoli passi, o magari seduta sulla discontinuità di un precipizio, incantata a seguir lo scorrer lento e vitale dell’acqua nelle sottili fratture che giacciono sul fondo del burrone, quasi a rimarcare gli infiniti percorsi, percorribili in ogni momento dalla vita di ciascuno di noi. Attraverso la grazia delle sue corde, Mia cerca di superare le fratture interne del suo io. Lei ha sempre una risposta linfatica all’aridità industriale dei nostri giorni: “Gea, todo Gea, every day”.
Riposta qualsiasi velleità avanguardistica, spogliatasi senza rancore da un’inopportuna smania esplorativa, attraverso questo disco Mia Doi Todd mostra a tutti noi il guscio indifeso che avvolge quel suo delicato intarsio melodico, donandoci l’essenza concreta della sua ipnotica seduzione.

(in collaborazione con Giuliano Delli Paoli, pubblicato su ondarock.it)

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