THE WOODEN BIRDS – Magnolia
(Barsuk/Morr, 2009)

Per oltre un decennio, Andrew Kenny ha guidato i texani American Analog Set attraverso un percorso che ha spaziato ampiamente dalla psichedelia analogica degli esordi al minimalismo pop-acustico degli ultimi lavori, grazie ai quali si è aperto nuovi orizzonti musicali sia in termini di collaborazioni esterne (ad esempio quella con Ben Gibbard dei Death Cab For Cutie) che di produzione discografica, come dimostra la pubblicazione europea dell’ultimo album della band, “Set Free”, da parte di Morr Music.
Proprio da lì riparte Kenny, lasciando in stato di prolungata quiescenza quella che è stata una delle band a torto meno celebrate dell’ultimo decennio, e imbarcandosi in un nuovo progetto a nome The Wooden Birds, che lo vede affiancato, tra gli altri, dalla vecchia conoscenza Leslie Sisson nonché dal cantautore David Wingo, aka Ola Podrida.

L’album segna il ritorno di Kenny non solo sulla scena discografica, dopo un sostanziale silenzio durato quattro anni, ma anche alla sua originaria Austin, alla ricerca di un’ispirazione atta a rinverdire i fasti del passato in una forma ancor più scarna e minimale. Tralasciate, ormai, le vocazioni indie-troniche, le tastiere e gli accenni slow-core degli ultimi American Analog Set, nel debutto della sua nuova creatura, Kenny e soci convogliano le loro energie verso la creazione di bozzetti acustici casalinghi, nei quali spicca, da un lato, una delicata vena pop e, dall’altro, risulta evidente il trait-d’union con l’esperienza della band precedente, rappresentato dal riconoscibile tocco di chitarra e dalla voce morbida e compassata che con ostentato distacco completa l’andamento ondeggiante di tante piccole bedroom-songs.

Si tratta in tutti i casi, di canzoni impostate su melodie acustiche sfumate, benché non sempre finalizzate a strutture armoniche organiche quanto piuttosto ideali a far da tappeto a un cantato uniforme e a modesti tentativi di variazioni stilistiche. Gli undici brevi episodi compresi in “Magnolia” (solo uno supera di poco i quattro minuti di durata) non si sbilanciano tuttavia più di tanto verso forme esplicitamente pop, prediligendo invece trame sonnolente, solcate da ritmiche asciutte e da un impianto strumentale scarno, che solo in qualche rara occasione trova adeguato completamento in soluzioni in grado di rifuggire un certo senso generale di monotonia.
Se infatti i contrappunti melodici di “The Other One”, l’andamento jazzy di “Hometown Fantasy” e le pregevoli alternanze della voce di Kenny con quella aggraziata della Sisson danno luogo a canzoni di gradevole intimismo e piacevole fruizione, la levigatezza di toni e la costanza delle modulazioni sonore lasciano talvolta il passo a una ripetitività priva di guizzi.

Con ogni probabilità, tale sensazione risulta incentivata dall’inevitabile comparazione con quanto di meglio espresso dagli American Analog Set, tanto che nei non molti episodi nei quali le melodie vanno costruendosi in progressioni acustiche irregolari (“Sugar”, “Believe In Love”), si resta nella vana attesa di un inserto analogico che ne coroni il lieve crescendo. Ma, evidentemente, per Andrew Kenny il ritorno a casa non è stato sufficiente a dare una sterzata al suo percorso artistico recente, tanto che in questo debutto della sua nuova creatura non è dato scorgere significative discontinuità rispetto alle ultime, non eccelse prove della precedente.

(pubblicato su ondarock.it)

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