THIS IMMORTAL COIL – The Dark Age Of Love
(Ici D’Ailleurs, 2009)
Esattamente cinque anni fa, l’improvvisa scomparsa di John Balance – metà fondante dei Coil insieme a Peter Christopherson – lasciava costernati tutti coloro che, da artisti o in veste di semplici ascoltatori, avevano avuto modo di relazionarsi con il genio esoterico di una delle più affascinanti esperienze post-industriali.
Fin da allora, in operoso silenzio, Stéphane Grégoire, fondatore dell’etichetta Ici D’Ailleurs ha gettato i semi di un ambizioso progetto, i cui frutti si possono adesso apprezzare in “The Dark Age Of Love”.
La profondità del lascito di John Balance non poteva essere certo banalizzata da un tributo tra i tanti, magari ad opera di artisti che in qualche modo si richiamavano ai Coil: l’idea di Grégoire è invece consistita in qualcosa di radicalmente diverso, che trova l’unico precedente paragonabile proprio in This Mortal Coil, non a caso esplicitamente richiamati dal nome del progetto.
Si è trattato infatti di riunire tanti musicisti aventi non solo retroterra tra loro differenti, ma anche relazioni artistiche modeste – se non addirittura inesistenti – con i brani con i quali sono stati chiamati a confrontarsi.
Ne è scaturito un vero e proprio dream team che, sotto la supervisione in sede di missaggio da parte di Oktopus (Dälek), ha raccolto tra gli altri Will Oldham, la cantante israeliana Yaël Naim, il compositore francese Sylvain Chauveau, la virtuosa dell’Onde Martinot Christine Ott (presente in quasi tutte le tracce), sancendo inoltre l’incontro collaborativo tra Yann Tiersen e Matt Elliott, che caratterizza in via esclusiva tre degli undici brani di “The Dark Age Of Love”.
L’intento di base di trovare negli artisti coinvolti terreno sostanzialmente vergine per la realizzazione del progetto è qui adempiuto con un misto di incoscienza e umiltà: la prima poiché elevatissimo era il rischio di realizzare qualcosa di stridente con il tessuto artistico dei Coil, la seconda per la consapevolezza di Grégoire di come un’emulazione pedissequa sarebbe stata inutile oltre che praticamente impossibile.
Il risultato è invece costituito da brani tutti strettamente legati agli originali dal punto di vista dell’ispirazione, che qui tuttavia rinascono a vita propria, e in via del tutto autonoma vanno appunto considerati.
Il sole nero che campeggia in uno spiraglio di cielo limpido è l’immagine perfetta, che sintetizza la portata dell’ardita scommessa artistica condotta dai This Immortal Coil. L’esoterismo visionario dell’immortale opera di John Balance si stempera nel chiarore dei molti talenti coinvolti nell’operazione: a prima vista artisti ben distanti dalle dimensioni aliene, esplorate per vent’anni nella musica e nella vita da Balance e dai suoi compagni di strada. Proprio tale ostentata distanza rende da un lato inutili paragoni con le versioni originali dei brani (scelti con dovizia e gusto da intenditori), dall’altro consente agli esecutori la massima libertà di movimento.
Consapevoli che il repertorio coiliano è tanto unico e particolare che replicarlo è sfida pressoché invincibile, fuoriclasse quali Tiersen ed Elliott uniscono le loro forze per cullare al chiaro di luna quella straordinaria “Red Queen”, che dominava il primo volume di “Musick To Play In The Dark”, e allo stesso modo la dolce e ispirata voce di Yaël Naim dona un’aggraziata e appropriata femminilità a quelle che nascevano come lascive torch song, “Dark Age Of Love” e “Tattooed Man”. Ed ecco che la moon musick dei Coil si trasforma in un pugno di ballate spettrali e luminose, vedasi le metamorfosi di “Amber Rain” – nelle mani sapienti e delicate di Sylvain Chauveau – e “Ostia”, che pure con la personalità della voce di Will Oldham e il fascinoso accompagnamento dell’ensemble belga dei DAAU (autori a loro volta della rilettura dell’orchestrale “Chaostrophy”) non sfugge alla sua fama di scoglio insormontabile per chiunque voglia tentarne una reinterpretazione. A incantare ancora, è invece il riuscitissimo connubio Yann Tiersen/Matt Elliott, nella loro raffinata rilettura a base di calde note di chitarra acustica e marimba di “Love Secret Domain”, e la straordinaria versione di “Teenage Lightning”, brano che già per i Coil stessi è stato per anni territorio di sperimentazione e che Matt Elliott rilegge in solitaria, coniugando il suo gusto recente per dolenti ballate corale con il suo passato da manipolatore di suoni dei tempi di Third Eye Foundation.
Ma, al di là di qualsiasi fredda e raziocinante interpretazione critica, quest’opera spicca come un partecipe e composto omaggio del proprio talento, da parte di un gruppo di artisti lontanissimi da ciò che i Coil sono stati e rimarranno. Operazione necessaria per far risaltare il valore di brani immortali e in grado di travalicare di gran lunga lo stesso riduttivo concetto di cover.
E la benedizione che un commosso Peter Christopherson ha concesso al risultato finale è forse l’unico giudizio che conta davvero.
(in collaborazione con Mauro Roma, pubblicato su ondarock.it)