BROADCAST 2000 – Broadcast 2000
(Grönland, 2010)
Da Devon a Londra, dalla “cameretta” del primo Ep “Building Blocks” alla registrazione in studio di questo primo album omonimo del suo progetto Broadcast 2000, il polistrumentista Joe Steer non sembra aver smarrito la freschezza della sua proposta, né tanto meno l’ambizione di rideclinare in una variopinta chiave orchestrale i vivacissimi bozzetti folk-pop evidenziati già nel breve lavoro precedente.
Ferma restando la concisione espressiva, testimoniata da una durata complessiva appena superiore alla mezz’ora, in “Broadcast 2000” Steer si è avvalso della produzione Eliot James (già all’opera con Kaiser Chiefs e Bloc Party) e del supporto di una vera e propria band, che comprende tra gli altri il violinista Tom Hobden di Noah And The Whale.
L’articolato impianto strumentale, affidato a un’ampia galleria di percussioni e archi, asseconda la propensione di Steer per arrangiamenti ricchi e giocosi, già dimostrata nel precedente Ep, attraverso tessere sonore sempre nuove e tendenti a distaccarsi in maniera più netta dai capisaldi della classica canzone d’autore anglo-americana e finanche dagli accostamenti alla musica da camera, piuttosto evidenti nell’opera prima della band.
Il parziale mutamento di registro è sì una logica conseguenza della transizione da modalità di scrittura individualistiche e casalinghe a una più organizzata elaborazione collettiva in studio, ma è soprattutto il risultato della ricerca da parte di Steer di una formula sonora in grado di attagliarsi al meglio alla sua vena pop e alle sue interpretazioni talvolta abbastanza fuori dalle righe, anche a causa di un tono vocale non particolarmente aggraziato.
Se infatti l’impianto strumentale costituito dalla continua intersezione e ricombinazione di violoncello, chitarra, ukulele, contrabbasso e percussioni delinea trame acustiche briose che ricordano da presso (in qualche caso fin troppo…) quelle delle “Homesongs” di Adem Ilhan, non sempre le costruzioni melodiche delle canzoni risultano all’altezza dell’intento fondamentalmente pop sotteso alla scrittura di Steer.
Così, mentre la coralità ondeggiante dell’iniziale “Rouse Your Bones” e lo sghembo incedere della coinvolgente “That Sinking Feeling” risultano al tempo stesso eccentriche e catchy, non sempre il reiterato accento posto sull’alternanza tra pause e rilanci riesce a distaccarsi con personalità da schemi egregiamente congegnati ma tali da limitare il respiro armonico di molti brani in nome di soluzioni sovrabbondanti e talora un po’ forzate.
L’album scorre tuttavia lieve e primaverile, tra velleità di emulazione di un Andrew Bird o del primo Owen Pallett, leggiadri coretti che non rinunciano a un feeling tropicale (“Don’t Weigh Me Down”) e variazioni affidate agli onnipresenti archi e a un glockenspiel il cui suono liquido e giocoso, unito alle frequenti frammentazioni armoniche, sembra quasi chiudere il cerchio, svelando ancora l’originaria matrice folktronica e casalinga delle canzoni di Joe Steer, autore che, dopo aver abbandonato la dimensione “da cameretta”, in questo debutto sulla lunga distanza dei suoi Broadcast 2000 dimostra di avere tutte le carte in regola per poter regalare soddisfazioni a tutti gli amanti delle mille trasformazioni del folk-pop orchestrale.
(pubblicato su ondarock.it)