ENSEMBLE – Excerpts
(Fat Cat, 2011)
L’avevamo lasciato cinque anni fa con una richiesta ben precisa, esortandolo a dimezzare i tempi delle sue produzioni. Ma Olivier Alary, francese di Tolosa, ha una dimensione tutta sua del tempo e delle cose. Qualcosa che assume nella dilatazione temporale il giusto aggancio per le proprie stesure musicali. In tal senso, la celerità è un concetto che non gli appartiene. Alary tiene a debita distanza le lancette dell’orologio, segue esclusivamente il proprio io, il cuore e l’istinto, catturando alla stregua di una vecchia 50mm visioni e percezioni interiori.
Ancorato a una dimensione collettiva ben più di tanti altri songwriter in circolazione, fino al punto di denominare Ensemble il proprio progetto sonoro, il timido Olivier torna a mostrarci quel suo delicatissimo intarsio folcloristico, allestendone il terzo cerimoniale, a quasi dodici anni dall’esordio, proprio a guisa di un ampio ensemble (sia concesso il gioco di parole) nel quale coesistono torsioni cameristiche e retaggi di modernariato analogico.
In particolare, “Excerpts” raccoglie i frutti del triennio 2006-2009, periodo immediatamente successivo alla data di pubblicazione dell’omonimo secondo disco. Tre anni nel corso dei quali Alary ha ben pensato di accantonare i morbidi inserti glitch in favore di accurate strutture armoniche, lasciando decantare il proprio flusso acustico in una forma cantautorale prossima al pop intimista dei connazionali Holden, optando per vellutate rarefazioni e intensificando così quel suo personale cammino meditativo.
Il risultato di questo lungo processo di decantazione è racchiuso nei dieci brani che, insieme a un “Opening” strumentale, costituiscono le tessere dello sfaccettato mosaico di “Excerpts”, opera vellutata ed elegante, che attinge alla tradizione della chanson francese, arricchendola di ulteriore romanticismo negli arrangiamenti, ma non disdegna incursioni più aspre, tra saltuarie torsioni elettriche e trasognate partiture per organo.
Decisivi per la fisionomia del lavoro sono, oltre a un vasto impianto di archi e percussioni, i contributi del polistrumentista Johannes Malfatti (piano, clavicembalo, basso, fisarmonica, percussioni) e della vocalist canadese Darcy Conroy, le cui aggraziate tonalità si alternano con il cantato placido di Alary, conferendo a molti brani (in particolare “Things I Forget”, “Les Saisons Viennent” e “Imprints”) sfumature assimilabili a una declinazione cameristica delle fluttuazioni intergalattiche degli Stereolab.
Ma “Excerpts” reca soprattutto la firma del songwriting di Alary, che riesce a confezionare più di un frammento narrativo compiuto (si vedano ancora la title track e la vivace “Envies D’Avalanches”), decretandone al contempo la maturità in veste di artista ricercato tanto nel rivestire in maniera elegante le proprie canzoni quanto nell’orchestrare composizioni più articolate, che non rinuncia del tutto all’elettronica ma la pone accanto a slide guitar e archi nel tratteggiare suggestioni descrittive policrome.
Si direbbe che, giocando un po’ a fare il Tiersen (e con risultati più apprezzabili rispetto a quelli recenti dell’originale), Alary abbia reinventato il proprio stile, trovando in questa nuova e più ampia dimensione collettiva il contesto ideale per una mutazione di pelle che lo eleva con decisione nel novero dei più credibili esponenti della vague francese in bilico tra tradizione chansonnier e raffinatezza compositiva. E se, dopo cinque anni dal lavoro precedente, questi vengono identificati come semplici “estratti” da qualcosa di più articolato, non c’è che da sperare che, per un’opera ancora più organica di “Excerpts”, Alary non dimentichi di volgere, di tanto in tanto, lo sguardo a orologi e calendari.
(in collaborazione con Giuliano Delli Paoli, pubblicato su ondarock.it)