MAGNOLIA ELECTRIC CO. – Trails & Errors
(Secretly Canadian, 2005)
Se si eccettua l’intimista e minimale episodio interamente solista dello scorso anno, “Pyramid Electric Co.” (l’unico prodotto nella sua carriera con il proprio nome e cognome), avevamo lasciato l’anima inquieta di Jason Molina ancora sotto il moniker Songs: Ohia, ai tempi dell’album “Magnolia Electric Co.” (2003), decisamente indirizzato verso il recupero delle profonde radici blues della tradizione rock americana. Chi ebbe poi modo di vedere dal vivo (anche in Italia) la band dopo quell’opera, attendendosi forse di ascoltare soprattutto le note ballate dai toni intensi e strappalacrime, si trovò invece di fronte a performance adrenaliniche di un rock classico molto prossimo a Neil Young e aventi ad oggetto in prevalenza brani fino a quel momento inediti.
Proprio dalla registrazione di un concerto tenutosi a Bruxelles nel 2003 durante lo stesso tour, vede ora la luce “Trials & Errors”, primo lavoro nel quale si esprime compiutamente l’energico impatto sonoro della band, stabilizzatasi in un quartetto dalla nuova denominazione di Magnolia Electric Co. In virtù di tali premesse, non si tratta di un semplice album dal vivo, quanto piuttosto della testimonianza dell’incipit di una diversa pagina nella carriera di uno dei migliori songwriter statunitensi dell’ultimo decennio; inoltre, dei dieci lunghi brani qui raccolti, solo tre costituiscono reinterpretazioni del repertorio di Songs: Ohia, altri tre sono destinati a essere pubblicati nel primo album in studio della nuova band, in uscita nei prossimi mesi, mentre i restanti quattro rimarranno editi soltanto in questa forma live.
Per comprendere la svolta sonora di Molina e del gruppo, è sufficiente l’ascolto dei primi due brani, “Dark Don’t Hide It” e “Don’t This Look Like The Dark”, che tentano di conciliare ballate di stampo dylaniano con un tradizionale approccio blues, integrato da una chiarissima e forse sin troppo marcata ispirazione a Neil Young. In essi si notano poi anche gli altri elementi essenziali della rinnovata sensibilità musicale di Molina, ovvero una più decisa interpretazione vocale e la spiccata – e quasi inevitabile, date le premesse – attenzione per l’aspetto ritmico delle sue composizioni.
Tutto ciò si manifesta con ancor maggiore evidenza nei brani già editi, “Ring The Bell” e “Cross The Road”, presentati in una forma decisamente abrasiva, con il cospicuo contributo di chitarre sferraglianti e di una ritmica incalzante. Sorte analoga subiscono anche la citazione della sublime “Captain Badass”, posta in coda alla complessa e aspra “Such Pretty Eyes For A Snake”, e “Almost Was Good Enough”, che disperde buona parte del lirismo della sua versione in studio (compresa nell’ultimo album di Songs: Ohia) per dilatarsi in una prolissa cavalcata elettrica di quasi nove minuti.
Ulteriore punto dolente di “Trials & Errors” è proprio la durata dei brani – sempre superiore ai cinque minuti – che pure di per sé sola non è indice di osticità d’ascolto, ma qui contribuisce ad acuire la pesantezza dell’attuale registro espressivo di Molina, ormai orfano di molti dei suoi tratti distintivi. Se infatti è lontano il periodo delle sperimentazioni di “Ghost Tropic” e della ardita e felice collaborazione con gli Arab Strap nel capolavoro “The Lioness” (entrambi del 2000), Molina si è ora lasciato alle spalle anche alcune delle caratteristiche della sua produzione migliore – essenzialmente incentrata sulla dolente e personalissima contaminazione tra intimismo, minimalismo rock e tradizione folk-country americana – mantenendone il solo aspetto blues, qui calato nel contesto di una sorta di classica big band, dotata di un massiccio impatto sonoro, ma circoscritta all’esercizio delle indubbie capacità tecniche dei suoi componenti su sentieri già fin troppo battuti, piuttosto che nella creazione di qualcosa eccedente la mediocrità.
Non è un caso, infatti, che il meglio dell’album venga dai due brani nei quali si affaccia, quale solo elemento di originalità, la tromba di Mike Kapinus: “Leave The City” e la malinconica e intensa “The Last 3 Human Words”, autentica gemma del disco, nella quale l’accresciuta tensione compositiva riesce a conciliarsi in maniera equilibrata con un più lento e articolato incedere drammatico, capace di toccare vette di pathos mai sfiorate dal resto del lavoro. In definitiva, formalmente, “Trials & Errors” non va molto oltre la cristallizzazione su disco di un momento di passaggio nella produzione di Molina, reso nella sua appropriata dimensione live; dal punto di vista sostanziale, è invece legittimo nutrire qualche perplessità e temere un inaridimento della sua vena artistica – cui certo non giova l’abitudinaria frequenza delle sue uscite – e una deriva involutiva verso calligrafiche soluzioni classiche, decisamente troppo convenzionali rispetto a molte di quelle proposte in passato.
La conferma o l’auspicata smentita di ciò arriverà tra breve, con l’uscita del lavoro in studio annunciato per la primavera: solo allora si saprà se “Trials & Errors” rimarrà solo una sorta di divertissement nostalgico e se quindi, giocando un po’ sul titolo, sarà da considerarsi mera espressione di un tentativo, come tale suscettibile anche di esito negativo, oppure se Molina avrà intenzione di perseverare (diabolicamente?) su questa strada.
(pubblicato su ondarock.it)