A quasi tre anni dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo Glen Johnson in coincidenza dell’uscita del suo primo album pubblicato a proprio nome, “Details Not Recorded”. Nel frattempo, la sua febbrile propensione alla scrittura lo ha condotto a dividere il suo impegno tra Piano Magic e altri progetti eterogenei, ognuno dei quali connotato da diverse denominazioni.
Intanto la sua vitalità creativa preannuncia nuovi obiettivi, lasciando intravedere ulteriori cambiamenti di direzione musicale.
Ci eravamo lasciati dopo “Disaffected”: sembra che in seguito a quell’album tutti – almeno in Italia – si siano accorti di Piano Magic, probabilmente grazie alle sue atmosfere oscure e al gusto eighties di alcuni suoi brani. Che effetto ti fa essere identificato in particolare con quel disco, rispetto a una carriera lunga e a una produzione molto più articolata?
Forse è in Italia che siamo identificati in particolare con quel disco, ma penso che la questione sia molto relativa a seconda delle persone. Indubbiamente “Disaffected” ha sfondato in diversi Paesi, ma per esempio in Spagna a essere considerati album “definitivi” di Piano Magic sono piuttosto “Artists’ Rifles” e “Low Birth Weight”. Da quel che ho potuto osservare, una musica oscura, romantica e influenzata dagli anni 80 in Italia e in Grecia viene compresa più facilmente che in qualsiasi altro luogo. E certamente “Disaffected” soddisfaceva tutti e tre questi requisiti.
Molti di quanti hanno conosciuto Piano Magic proprio con “Disaffected” sono rimasti disorientati e in parte delusi dal successivo “Part-Monster”, album invece ispirato a tutt’altro tipo di suoni. Qual è stato per te lo stimolo che ti ha portato a creare un album dall’impatto più immediato e a rivisitare con un notevole impianto chitarristico persino brani come “Incurable” e “The Last Engineer”?
Semplicemente, in quel periodo ci è piaciuto dare un’impostazione più “rock” alla nostra musica e suonare su palcoscenici più grandi rispetto a quelli ai quali eravamo abituati, inoltre stavamo scrivendo canzoni che richiedevano un volume più alto e un maggior impatto dinamico. Ciononostante, circa la metà di “Part Monster” è abbastanza pacata!
Se poi qualcuno ne è rimasto stupito, beh, noi facciamo musica che piaccia innanzitutto a noi e non potremmo mai pensare di adattarla ai nostri fans senza compromettere la nostra integrità.
L’immediatezza di “Part-Monster” e dell’Ep “Dark Horses” è qualcosa che hai volutamente cercato? Dipende da un tuo diverso approccio al modo di suonare o dallo spirito con cui scrivi le tue canzoni?
Credo si sia trattato di un processo evolutivo. Quello che iniziò soprattutto come un progetto sperimentale adesso è una band che tenta di combinare quella sperimentazione con un vero e proprio songwriting, elemento essenziale per far restare le canzoni per lungo tempo nella mente. Da un certo punto di vista, siamo nell’invidiabile condizione di essere una band di culto con un seguito piccolo ma affezionato, mentre da un altro penso che non abbiamo ancora sfruttato interamente il nostro potenziale di band, il che mi dà un costante senso di frustrazione ma è anche ciò che mi induce ad andare avanti per cercare di migliorare in continuazione e di fare musica sempre migliore. “Part Monster” e “Dark Horses” sono collocati in un cassetto del più vasto armadio della produzione di Piano Magic. Ma non credo che quel cassetto verrà aperto nuovamente. Il prossimo album, che stiamo scrivendo proprio adesso, sarà molto diverso dagli ultimi due.
I tuoi testi continuano a essere come al solito molto profondi e simbolici: in molti di quelli di “Part-Monster” sembra potersi leggere una conclusione per cui la natura umana è una delle principali ragioni della sofferenza. Negli ultimi lavori è cambiata la tua concezione della condizione umana? E come ha potuto incidere sui testi e sul mood della tua musica?
Io odio gli umani! Davvero, sarei felice se il genere umano fosse spazzato via domani, così che solo le piante e gli animali potessero proliferare in armonia tra di loro. Nel modo più assoluto, abbiamo distrutto il pianeta, e abbiamo distrutto noi stessi. Siamo una feccia!
Negli ultimi tempi mi è capitato di riflettere molto a proposito delle macchine. Più si invecchia più capita di interrogarsi: “Le cose andranno meglio o peggioreranno? Smetteremo mai di fare guerre? Fermeremo la strage degli animali? Gli adolescenti smetteranno di accoltellarsi tra di loro? Il fascismo potrà essere superato completamente? Amanda Knox sarà libera?”. Sono domande del genere a tenermi sveglio la notte. Soprattutto quella su Amanda Knox, devo ammetterlo.
“Dark Horses” ha segnato il tuo passaggio all’etichetta “di culto” Make Mine Music: ho letto che è dipeso da una precisa scelta di autonomia artistica e libertà di diffusione della tua musica. Puoi dirci qualcosa di più in proposito e raccontare come sei entrato in contatto con loro?
Non potremmo mai finire su una major, innanzitutto perché non vendiamo molti dischi, e poi siamo troppo vecchi, fuori moda e non accettiamo compromessi. Ho avuto una lunga esperienza con l’industria musicale convenzionale, e mi ha lasciato una pessima sensazione. Quasi tutte le etichette indipendenti hanno gli stessi difetti delle major, con la differenza che almeno queste ultime sanno quello che fanno. La maggior parte delle indie-label continua a reggersi sull’entusiasmo iniziale di un paio di persone, che hanno fatto un ragionamento del tipo “Amo la musica, quindi perché non metter su un’etichetta?”. Ma quando si tratta di lavorare duramente, promuovere i dischi, essere puntuali nel pagare le band e ripartire i ricavi le cose diventano diverse. Semplicemente, mi ero stancato di lavorare con etichette inette che facevano un sacco di parole ma niente fatti.
Almeno con Make Mine Music, abbiamo interamente il controllo di tutto quel che facciamo. Pubblichiamo qualsiasi cosa vogliamo, quando vogliamo. Abbiamo una distribuzione mondiale tramite Cargo, ottimi rapporti con importanti mail order quali Norman e Boomkat e poi siamo pagati automaticamente in base alle vendite. Quest’ultima cosa è molto importante: se un’etichetta non paga ogni sei mesi, così come da contratto, come fai a continuare ad esistere? Con Make Mine Music non devo più preoccuparmi di questo.
Da un punto vista meno formale, conosco da anni Scott Sinfield (aka Portal), uno dei cofondatori dell’etichetta, e da lui ho appreso il modus operandi unico di Make Mine Music, che mi ha affascinato sempre, fino a diventare una concreta alternativa alla terribile situazione in cui ci trovavamo. Inoltre, apprezzo moltissimo le band che incidono per l’etichetta, quali July Skies, Epic45 e Portal.
Per Make Mine Music esce adesso un album a tuo nome: puoi raccontarci il perché di questa scelta e spiegare qualcosa del titolo e del bellissimo artwork?
Sono un autore molto prolifico. Ogni giorno passo molte ore al computer, riempiendo il mio hard-disk di musica per Piano Magic, Textile Ranch, Future Conditional o per tanti altri progetti senza nome.
In un periodo in cui i Piano Magic erano fermi come band ho pensato di fare un disco solista in attesa che gli altri componenti della band si svegliassero. È un disco più sperimentale rispetto a quello che Piano Magic sono diventati in questo momento. Ci sono waltzer e influenze barocche, con in aggiunta un po’ di Leonard Cohen, Björk e Disco Inferno.
L’artwork è venuto mentre navigavo su MySpace, quando mi sono imbattuto nelle splendide opere di una pittrice a olio americana che si chiama Julia Haw, che peraltro è anche una fan di Piano Magic. Allora le ho chiesto se volesse dipingere qualcosa per la copertina del mio album solista e lei ha accettato di buon grado, scegliendo la sua opera “The Headless Surgeon”. Invece le dodici pagine del booklet dei testi sono state realizzate da Gerald Tournier, della band francese For The Chosen Few.
Voglio che l’artwork dei miei dischi sia ad effetto, così come la musica in essi contenuta, anzi anche di più! Non ho tempo per i download, sono del vecchio stampo, voglio qualcosa che si possa tenere in mano e custodire per tutto il resto della vita, non qualcosa che scomparirà dalla libreria di iTunes quando il tuo computer non funzionerà più. Mi viene da pensare a tutte quelle band la cui eredità sarà costituita solo dagli mp3! Saranno sul loro letto di morte a sospirare “Avessimo inciso dei vinili!” Ha!
Piano Magic, Textile Ranch, Future Conditional, Glen Johnson: diverse denominazioni per una musica che mostra sempre la tua impronta riconoscibile, pur nella sua diversità. Ma dove sta andando Glen Johnson oggi? E cosa ci si deve attendere dalle tue prossime produzioni?
In tutta sincerità, non riesco proprio a fermarmi! Adesso stiamo lavorando sodo su un nuovo album di Piano Magic, che dovrebbe vedere la luce entro settembre. C’è anche un album di Future Conditional che sta cominciando a prendere forma, e poi mi sono divertito così tanto a realizzare l’album solista che ho in programma un Ep di quattro tracce su cassetta da far uscire su una nuova etichetta italiana che è in parte diretta da Jukka Reverberi dei Giardini Di Mirò, la Secret Furry Hole.
Sarai già al corrente della crescente popolarità di Piano Magic in Italia: pensi di poter tornare presto a suonare qui?
Davvero è in crescita? Bene, sì, possiamo tornare; stiamo programmando dei concerti in Italia quest’anno, forse già nel periodo estivo.
(pubblicato su ondarock.it)