EL PALACIO DE LINARES – Largos Agotadores
(Pretty Olivia, 2019)
Per qualche strana coincidenza, avviene che in un determinato periodo un Paese o una zona geografica siano forieri di una mole di produzioni in qualche misura omogenee, seppur non necessariamente riassumibili nel vecchio concetto di “scena”. In questo senso, il linguaggio indie-pop non è affatto nuovo alla penisola iberica, dove ha gettato radici già negli aurei anni Novanta dell’etichetta Acuarela Discos e continua a proliferare attraverso i tipi della Elefant Records. Negli ultimi anni, però, l’indie-pop ha via via trovato nuove “case” grazie a più giovani etichette quali Discos de Kirlian e Meritorio, ma soprattutto ha trovato un vitalissimo sottobosco di band che uniscono l’intramontabile passione per le sonorità sviluppatesi in Inghilterra ormai trent’anni fa a una verve tutta attuale, veicolata dalla calda musicalità della lingua spagnola.
Tra queste vanno annoverati senz’altro i madrileni El Palacio de Linares, che hanno appena pubblicato il loro secondo album sulla lunga distanza, che segue una lunga trama di singoli, Ep e apparizioni in compilation, sparse nel corso degli ultimi sette anni, oltre al disco “Ataque de Amor” (2016). Come ogni disco pop che si rispetti, “Largos Agotadores” è un’agile galleria di canzoni da tre minuti scarsi, la cui combinazione di leggerezza e agrodolce malinconia rimanda con estrema naturalezza al brioso candore di un formato espressivo davvero senza tempo né età, ma anche senza confini geografici. Un genuino spirito pop sprizza da tutto il lavoro, che vola via in nemmeno mezz’ora, nel corso della quale la band spagnola incastona più di qualche piccola gemma forgiata da chitarre languide e interpretazioni di zuccherino candore.
Ci vuole davvero poco per superare la strana sensazione di trovare uggiose atmosfere pop solcate da brillanti testi latini, che anzi finiscono ben presto per calzare a meraviglia con brani dal pimpante passo twee quali in particolare “Este Rato (Contigo)”, “El Estilo” e “Piscinas Naturales”, piccole perle tra le tante da scoprire in un lavoro godibilissimo, ennesima prova dell’universalità del linguaggio pop.