SILVER SCREEN – When You And I Were Very Young
(Plastilina, 2013)
Le stagioni dell’indie-pop sono quelle di una giovinezza senza tempo: sarà per questo che oltre a temi e riferimenti anche le cadenze produttive di molte band e artisti contagiati da agrodolce vena melodica sono particolarmente irregolari, tanto da presentare spesso iati o comunque tempi di elaborazione piuttosto lunghi. Allora non c’è nulla di male nel parlare di un disco indie-pop a quasi un anno dall’uscita, soprattutto se il suo artefice ne ha impiegati ben otto per dar seguito al proprio debutto.
Si tratta nell’occasione di Cris Miller, californiano che si cela in solitaria dietro la denominazione Silver Screen. “When You And I Were Very Young”, secondo album di Miller dopo “The Greatest Story Never Told” (2005) è fin dal titolo l’archetipo del perfetto disco indie-pop, peraltro confermato fedelmente dal suo contenuto: dodici canzoni brevi e scorrevoli, consacrate a fragili malinconie, a osservazioni di piccole cose e, in generale, di tutta quella piccola e fuggevole magia che solo la spontaneità di una canzone da tre minuti riesce a catturare.
Il tutto è – ovviamente – calato in un microcosmo di chitarre languide, ritmiche sfumate e melodie zuccherine, la cui misuratezza si lascia andare solo per brevi tratti a qualche uptempo di più sensibile marca twee-pop. Il nucleo centrale di “When You And I Were Very Young” permane invece quello di un’endemica nostalgia, appena allontanata dalle vivaci brezze melodiche di popsong dagli inevitabili omaggi alla Sarah Records, quali “Really No Wonder” o “A Little More Each Day”, ma ben presente nella maggior parte dei brani, in particolare con punte di delicato romanticismo che, dall’iniziale “Once In A Lifetime” a “Tell Me Darling” si rivestono di atmosfere leggermente riverberate e di un candore melodico che, anche per il sottile timbro vocale di Miller, fanno correre il pensiero addirittura ai Pale Saints di “In Ribbons”.
L’essenza di “When You And I Were Very Young” resta comunque quella di una raccolta di canzoni dalle tinte pastello, appena percorse da ugge e nostalgie, che concretano l’essenza di qualsiasi buon disco indie-pop che si rispetti.