WILLAMETTE – Diminished Composition
(Scissor Tail, 2016)
Intitolare un disco “Diminished Composition” è una dichiarazione d’intenti, un biglietto da visita che riassume in maniera esaustiva quello che dal suo contenuto ci si può attendere. La riduzione della composizione ambientale a un grado molto prossimo allo zero è del resto già parte integrante del breve catalogo discografico del terzetto “cult” Willamette, che torna a un lavoro organico sulla lunga distanza cinque anni dopo il magistrale debutto “Echo Park”, periodo intervallato dalla sola sonorizzazione cinematica “Always In Postscript” (2012).
Le nove brevi sequenze che formano il lavoro mantengono fede a un titolo tanto emblematico, condensando in poco più di mezz’ora di durata totale una serie di vaporose cartoline sonore, che incarnano alla perfezione la definizione della musica di Joseph Edward Yonker e dei fratelli Chong, da loro stessi descritta come prodotta da nastri, voci, silenzi e strumenti a corda. Sono in particolare gli ultimi, sotto forma di archi modulati e ridotti a una consistenza impalpabile, a dominare tutti i brani di “Diminished Composition”, ideali rappresentazioni in miniatura delle sinfonie ambientali degli Stars Of The Lid.
Gli altri elementi non sono accessori, ma parte integrante di un’estetica sonora immateriale, che si dipana attraverso loop ipnotici in filigrana ai quali affiorano frammenti vocali dematerializzati e sospensioni in bassa fedeltà che fungono da cornice ad atmosfere tanto decompresse quanto maestose. Potrebbe sembrare in contraddizione con l’intento programmatico di cui al titolo del disco, ma in fondo l’essenza dell’estremo minimalismo dei Willamette è proprio quella di conseguire, con pochi mezzi, un risultato di ampio respiro, declinato in “Diminished Composition” in un’ambience orchestrale assoluta, avviluppante e dolcemente malinconica.