THE CHARLATANS – Some Friendly
(Situation Two, 1990)
Mentre tutto intorno risuonava ancora degli echi e dei lustrini degli anni Ottanta, una band chiamatasi The Charlatans poteva sembrare l’ideale contrappunto ironico di scelte musicali aliene ai circuiti più patinati che, proprio in quel periodo, cominciavano a diversificarsi in maniera evidente dal punto di vista stilistico, nonostante l’osmosi che di lì a poco, a Manchester e dintorni, avrebbe dato luogo a una “scena” riconosciuta come tale e valorizzata soltanto anni dopo. Eppure, se alle nostre latitudini il nome stesso della band poteva colpire la superficiale immaginazione di chi non ne conoscesse la musica e dunque essere foriero di prese in giro adolescenziali, verso la fine del 1990 il suo album di debutto “Some Friendly” entrava direttamente al primo posto delle classifiche discografiche di vendita inglesi, dopo che, durante quello stesso anno, due singoli quali “The Only One I Know” e “Then” vi avevano fatto da apripista.
Nella prospettiva offerta dal quarto di secolo trascorso da allora, si può osservare come, nella loro spregiudicata vena pop, i Charlatans non fossero, fin dai propri inizi, una band esattamente sotterranea e come la loro stessa successiva associazione al “Madchester sound” discendesse piuttosto da esigenze di categorizzazione critica che faceva leva sulla loro provenienza geografica.
Per la precisione, i Charlatans erano peraltro originari di Northwich, cittadina del Cheshire a metà circa tra Manchester e Liverpool, dove un paio d’anni prima del loro debutto, per iniziativa del bassista Martin Blunt, si formava un quintetto che in principio ancora non comprendeva il carismatico cantante Tim Burgess. Accanto a lui, figura decisiva per definire la fisionomia della band era il tastierista Rob Collins (scomparso in un incidente stradale nel 1996), il cui organo Hammond impregnava le canzoni di “Some Friendly” di sonorità sixties, che facevano il paio con ascendenze soul-r&b e soprattutto con il guitar-pop inglese degli anni Ottanta.
In queste coordinate si inscrivono quasi completamente i dieci brani di “Some Friendly”, esuberanti nei testi e nel suono, ma anche frutto del disagio post-adolescenziale delle città industriali della provincia inglese all’epoca del thatcherismo. Non vi è nulla di politico, sia chiaro, nelle canzoni dei Charlatans, che tuttavia sotto la patina di presunzione ostentata fin dall’iniziale “You’re Not Very Well” nasconde una certa fragilità sentimentale, pur interpretata a modo tutto suo da Burgess, spesso con il malcelato intento di esorcizzarla. “You were sometimes hard to find/ You were never safe to be with” cantava Burgess roteando un braccio in aria nel video del singolo “Then”, primo brano del disco ad affacciarsi nelle rotazioni delle tv musicali; anche di quelle italiane, dove la sequenza di immagini della band e nebbiosi panorami naturali cominciava a dischiudere nuovi mondi di conoscenza musicale. Seguirono poi la pimpante “The Only One I Know”, la canzone più genuinamente pop del lavoro, e la più riflessiva “Opportunity”, un introspettivo viaggio attraverso stazioni ferroviarie di una periferia non solo geografica. Ma l’intero “Some Friendly” era costituito da potenziali singoli, rinvenibili anche tra i brani meno celebrati, in particolare la conclusiva “Sproston Green”, con il suo jingle-jangle vagamente innodico, o la felpata “Flower” o ancora l’apparentemente spensierata “White Shirt”.
Mentre a tratti il lato produttivo prendeva il sopravvento, occhieggiando al dancefloor di stampo, appunto, “Madchester” (“Polar Bear”), le canzoni dei Charlatans erano condite, piuttosto, da contorni morbidamente psych (“You’re Not Very Well”, “Sonic”), la solennità pulsante o, più spesso, le poderose progressioni dell’Hammond plasmavano un suono al tempo stesso nuovo e antico, che poteva far piangere o ballare, divertire e riflettere. Come l’anno nel quale “Some Friendly” è uscito, il suo era un suono di transizione, un “non più, ma non ancora” gravido di possibilità, che i Charlatans seppero incarnare, insieme agli Stone Roses, dando l’avvio a quella rinascita pop-rock britannica i cui frutti sarebbero stati, di lì a poco, raccolti in prevalenza da altri (Blur, Oasis).
Tra tante peripezie (ultima la scomparsa del batterista Jon Brookes nel 2013) i Charlatans esistono dignitosamente ancora oggi, pur avendo scoperto negli anni la loro essenza più r&b. Il tempo, in un certo senso, ha dato loro ragione, segnando la silente rivincita di quei ragazzi con i capelli a caschetto, dei tanti stranianti filtri multicolori applicati sulle loro scorrevoli popsong, e persino di chi forse ancora adesso continua a sentir riecheggiare come uno scherno il nome buffo di una band che ha incarnato momenti indimenticabili, spensierati e turbolenti.
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che discone che sei andato a ripescare!!
per me, cresciuto con pane e Rockerilla non poteva essere altrimenti e sono certo che tra un po’ ci metti pure gli immensi “Slowdive”. . . .:)
Per me è stato un vero e proprio disco del cuore, per lunghissimo tempo, e anch’io li ricordo su Rockerilla (ma forse solo dal disco successivo).
Gli Slowdive sono, ovviamente, tra le memorie da recuperare prima o poi. Se ancora non l’ho fatto, è un po’ per cercare di decantare rischi di eccessivo coinvolgimento, un po’ perché non vorrei inflazionarli in un periodo nel quale sembrerebbe all’orizzonte il loro ritorno, per il quale non so se trepidare o tremare di preoccupazione.