ARAB STRAP
I’m Totally Fine With It👍Don’t Give A Fuck Anymore👍
(Rock Action, 2024)

Vale per chi crea musica, ma anche semplicemente per chi ne è appassionato: ci sono cose (sentimenti, sensazioni, racconti, suoni, etc.) che alcuni sono in grado di captare e comprendere ben prima di altri, spesso in ampio anticipo rispetto ai momenti del proprio percorso umano nel quale più spontaneamente affiorano.

Come la pensosa nostalgia di Bobby Wratten – ad esempio – sembra oggi molto più coerente con il maturo uomo di mezza età di questi anni che non con il ventenne dei tempi dei Field Mice, così il crudo realismo di Aidan Moffat e Malcolm Middleton appaiono quasi più consoni alle loro carte di identità di ultracinquantenni che non con gli inquieti post-adolescenti dei tempi di “Philophobia”. O, almeno per chi scrive, si tratta appunto soprattutto di una questione di percezione, per cui certi messaggi che gli Arab Strap (e tanti altri) erano riusciti a mettere a fuoco già nella loro giovinezza personale e artistica sono stati compiutamente compresi soltanto col passare del tempo.

Quella stessa sensazione, già evidente nel sorprendente ritorno del duo scozzese (“As Days Get Dark”, 2021), è confermata e anzi rafforzata dalle dodici canzoni di “I’m Totally Fine With It👍 Don’t Give A Fuck Anymore👍”, nelle quali Moffat e Middleton dimostrano di aver ritrovato il gusto di lavorare insieme, unendo come ai tempi che furono basi abrasive e testi taglienti ed espliciti forse ancor più del solito, che tornano a scandagliare gli aspetti più reconditi e scabrosi dell’animo umano, oltre che ad analizzare con tono caustico e sprezzante la deumanizzazione delle relazioni determinata dalla tecnologia.

Con la ruvida schiettezza che si confà a un’età nella quale non si ha più molto da perdere e ancora meno da cambiare, in “I’m Totally Fine With It👍Don’t Give A Fuck Anymore👍” i due scozzesi incastrano storie allucinate di avatar dalle pulsioni sessuali indicibili con basi che, soprattutto nella prima parte dell’album, spaziano dagli urticanti battiti sintetici di una desolata dancehall anni Novanta a sferzanti sciabordate elettriche, ora reminiscenti dei tempi di Madchester ora persino del primo nu-metal. Eppure, tra le miserie umane raccontate senza peli sulla lingua dal duo scozzese, affiorano via via nel corso dell’album sentimenti più lievi, veicolati da note acustiche di compassata desolazione, che arrivano a trasformare le verbose invettive di Middleton in ballate dai distanti sentori folk.

La sensazione è che, a tre anni di distanza dal loro inaspettato ed eccellente ritorno, gli Arab Strap abbiano ripreso a viaggiare col pilota automatico, tanto che in almeno un paio di occasioni si ha la sensazione di trovarsi di fronte a canzoni costruite sui medesimi schemi del predecessore, per raccontare tuttavia storie diverse ma con lo stesso comune denominatore. Non si tratta certo di un limite, perché Moffat e Middleton dimostrano di avere molto da dire e di saperlo fare con una poetica cruda e diretta, ma sempre lucidissima ed elevata nello spirito e, in definitiva, godibile e coinvolgente, anzi forse persino di più per chi è riuscito a comprenderla fino in fondo soltanto grazie a quella che sarebbe contraddittorio definire seconda giovinezza degli Arab Strap, visto che gran parte di quello che oggi raccontano loro (e non solo loro) sono stati in grado di capirlo molto prima.

http://arabstrap.scot/

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.