memories: REFRIED ECTOPLASM

stereolab_refried_ectoplasm_switched_on_volume_2STEREOLAB – Refried Ectoplasm (Switched On Volume 2)
(Duophonic, 1995)

Erano gli albori degli anni ’90, ma un gruppo di ragazzi londinesi guidato da Tim Gane e dalla cantante francese Laetitia Sadier guardavano agli anni ’60 del pop e ai ’70 del kraut-rock per elaborare un’irripetibile “space-age bachelor pad music” (definizione auto-coniata dalla band) che, non senza significative trasformazioni, li ha visti protagonisti una carriera discografica ventennale.

È una pressoché impossibile operazione da collezionisti ricostruire in particolare il primo, effervescente periodo della produzione degli Stereolab. Ecco dunque da cosa deriva la scelta di rispolverarlo attraverso “Refried Ectoplasm (Switched On Volume 2)”, non un album vero e proprio ma il secondo capitolo dell’ipotetica serie di raccolte “Switched On”, il cui primo episodio risaliva al 1992. Ma vi sono anche altre motivazioni, in parte di ordine affettivo rispetto al processo di conoscenza personale della band e, in misura ben più significativa, alla sostanza di “Refried Ectoplasm”, lavoro che rappresenta una perfetta sintesi degli Stereolab dei primi anni, cogliendo il duplice profilo della sperimentazione di un minimalismo analogico vintage e di uno spiccato gusto per il pop più leggero, giocosamente infantile nelle melodie ma sostenuto da una forte impronta concettuale.

C’è, insomma, tutta la quintessenza di ciò che ha reso unica l’esperienza della band in questa raccolta che comprende una serie di singoli in vinile pubblicati, in tirature estremamente limitate, tra il 1992 e il 1994, oltre a un paio di inediti risalenti allo stesso periodo. Ogni brano presenta una propria storia e specifici elementi di interesse, al di là dei pressoché comuni denominatori di melodie pop “intossicanti” e di un impianto strumentale che associa un arsenale di tastiere vintage (moog, farfisa) a un robusto impiego di chitarre effettate e ritmiche incalzanti. Per quanto affascinati dall’estetica vintage, perseguita in canzoni costruite sull’iterazione di una o due note d’organo (quasi il corrispettivo “kraut” dei muri di chitarre dei My Bloody Valentine), nei brani di “Refried Ectoplasm” gli Stereolab mettono in mostra un’impostazione da triangolo “rock”, che di quelle note alimenta le dinamiche ed esalta l’immediatezza comunicativa fondendole in una materia sonora granitica, aliena rispetto agli stessi elementi che la costituiscono.
La stessa brillante vena pop, spesso tradotta in filastrocche nelle quali si rincorrono le voci di Laetitia Sadier e della compianta Mary Hansen (la sua prematura scomparsa nel 2002 ha segnato l’inizio della fine della band), alterna con disinvoltura inglese e francese così come stili di scrittura diversissimi, che si manifestano ora limitati in messaggi essenziali e nella ripetizione in loop di un ritornello, ora in testi torrenziali, da pieno flusso di coscienza.

I testi, appunto, sono un elemento tutto fuorché trascurabile per gli Stereolab, che li utilizzano come un bisturi per veicolare messaggi della loro weltanschauung fosca, a tratti persino apocalittica, sostenuta da una consapevolezza ideologica di stampo anarco-socialista, che tanto più impressiona quanto più leggero e sbarazzino è il formato pop dei brani. Una “French Disko”, ad esempio, può fungere da sola da manifesto di un’intera carriera, con il suo tempo incalzante, il fragore circolare della lega di tastiere e chitarre e la melodie pulsante che ne enfatizza il messaggio di disperata ribellione: “I’ve been told it’s a fact of life/ Men have to kill one another/ Well I say there are still things worth fighting for/ It said human existence is pointless/ As acts of rebellious solidarity/ Can bring sense in this world/ La Resistance!”. E ancora, “Exploding Head Movie”, con l’ostentato utilizzo di una rudimentale stereofonia che fa girare intorno alla testa (si provi ad ascoltarla in cuffia…) il suono e le parole del mantra “We got to keep the lift hope and struggle/ Where is the lift, the hope and the struggle?/ Give me the strength the lift, hope and stuggle”.

L’efficacia del messaggio è parimenti riassunta in tali scarni versi, così come nell’elencazione dadaista di verbi di sofferenza nell’ipnotica “Revox”, ma anche in testi più articolati dal punto di vista discorsivo, che in “Sadistic” arrivano a dispensare lucidi presagi (“It is amusing to see to what extravagant length man has taken fanaticism and imbecility to excesses so unspeakable, unbearable”), nella quale, in maniera quasi ossimorica si affaccia una speranza o piuttosto un’utopia (“all we need from morality is contained in those words: make others happy as you yourself would be, and serve them in the way that you would yourself be served, the sole requirement is a good heart, a good heart, a good heart”).

Fermo restando che le scatenate melodie e le ficcanti iterazioni delle note analogiche riescono alla perfezione nell’intento di far entrare in circolo e persino rendere canticchiabili testi profondamente seri come se fossero quelli di una zuccherosa canzone pop, non vi è solo profondità di messaggio nei brani di “Refried Ectoplasm”, raccolta che dimostra anche la straordinaria capacità degli Stereolab di non sapersi prendere troppo sul serio. Fulgidi esempi ne sono le contemplazioni lunari, un po’ romantiche un po’ filosofiche, di “Lo Boob Oscillator” (“La lune est libre”), la spassosa divagazione western di “Tone Burst (country)” e la sfrenata danza di tastiere e feedback di “John Cage Bubblegum”, brano il cui solo titolo è sufficiente ad attestare l’ironia di Tim Gane e compagni (nell’edizione originale del singolo era accluso un pacchetto di chewing gum!)) e a lanciare un dissacrante ponte verso quella (post-)modernità retro-futurista che costituisce l’altro principale profilo espressivo degli Stereolab.
In “Refried Ectoplasm” se ne ritrova testimonianza altrettanto emblematica negli oltre tredici minuti di effetti analogici, rumorismi e derive cosmiche decostruite di ”Animal Or Vegetable (A Wonderful Wooden Reason…)“, frutto della collaborazione con Nurse With Wound.

L’essenza della raccolta permane comunque ben legata allo stralunato (ma lucidissimo) caleidoscopio pop sixties interpretato dalla band con funamboliche soluzioni strumentali, ostentatamente vintage ma attualissime allora come ora. Questo rende “Refried Ectoplasm” ideale sintesi e punto di partenza per la conoscenza degli Stereolab e del loro preziosissimo messaggio, riassumibile in una geniale intersezione di piani tra modernità di linguaggio e modernariato dei mezzi che smentisce con forza straordinaria la pretesa antinomia tra ricerca sonora e canzoni pop.

http://www.stereolab.co.uk/

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