DANIEL LAND & THE MODERN PAINTERS – The Space Between Us
(Club AC30, 2012)
Per le abituali serie di corsi e ricorsi, da qualche anno a questa parte si è risvegliato notevole interesse per il recupero delle melodie eteree e per le stratificazioni di feedback che hanno segnato il periodo d’oro dello shoegaze nei primi anni ’90. Accanto a qualche epigono valido, seppur sempre tale (un nome tra i tanti, i Tears Run Rings), si sono trovati però finora più musicisti affascinati dall’evanescenza epidermica di quei suoni che non loro spontanei continuatori.
Alla prima categoria può fortunatamente ascriversi Daniel Land, chitarrista di Manchester con diverse esperienze alle spalle, tra le quali quella di saltuario bassista con gli Engineers, e da qualche anno a capo dei Modern Painters, insieme ai quali aveva debuttato nel 2009 con “Love Songs For The Chemical Generation”, disco gradevole ma tutto sommato non distante dai cliché revivalistici di cui sopra.
Da allora, Land ha attraversato una maturazione creativa che nel successore “The Space Between Us” trova un’espressione compiuta, che lo affranca dal formalismo in favore di un’accresciuta vena sia compositiva che di scrittura. A sentire il mood e leggere tra le righe i testi dei nove brani raccolti nell’album, si dirette che ciò sia coinciso con una serie di tempeste sentimentali che, come spesso capita, vengono messe in musica con finalità quasi terapeutica, o comunque di pacificazione con se stesso.
Sebbene l’incipit del disco (“Echo & Narcissus”) si ponga, anche quanto a tematiche, perfettamente nell’alveo di canoni dream-pop/shoegaze, con melodie sfuggenti e rotondi riverberi chitarristici, il procedere della tracklist depotenzia ben presto i rischi di calligrafia, in una serie di canzoni la cui accresciuta definizione viene portata in primo grazie al ritrarsi della coltre elettrica a fondale evanescente, dai contorni talora quasi ambientali.
Su questo canovaccio più o meno costante, corrono dunque rilanci armonici policromi e pulsazioni ritmiche sfumate, a far da supporto alla voce di Land, delicata ma ferma ed espressiva. Ne risultano così una serie di ballate sospese, che talora in una forma mista elettro-acustica (“Lovelife”, “Sleeping With The Past”) dischiudono un universo di abbandoni, distanze e nostalgie, dipinto con i colori pastello del ricordo, ma anche con il sereno distacco della consapevolezza del loro essere persi per sempre.
Morbidi e toccanti, i brani di “The Space Between Us” creano un’avvolgente temperie di un romanticismo che non si limita a guardare al passato (gli Slowdive di “Souvlaki”, ma anche i Field Mice), tentando invece di attualizzarlo alla sensibilità e, soprattutto, alle storie del presente; forse perché proprio quelle storie, ancor più dei suoni, non conoscono mode. In tal senso, la struggente epica autobiografica costellata di dissolvenze della conclusiva “Starfish Fucking” riassume gran parte dello spirito sottostante a “The Space Between Us”, rappresentandone fedelmente lungo i suoi tredici minuti le tante sfaccettature espressive, ivi compresa una certa perdurante tendenza alla prolissità.