YO LA TENGO – Fade
(Matador, 2013)
Riscoprire una band al tredicesimo disco, dopo che se ne erano sostanzialmente perse le tracce nella consapevolezza che, dopo almeno tre prove piuttosto incolori, si trascinasse più o meno stancamente dopo oltre un quarto di secolo di attività.
È quel che può avvenire di fronte alla gradita sorpresa di ritrovare gli Yo La Tengo in perfetta forma e ancora capaci di governare le proprie derive artistiche nelle dieci tracce di “Fade”, album frutto al tempo stesso della conclamata maturità del terzetto di Hoboken e di una rinnovata freschezza espressiva, frutto di un’opzione volta ad accentuare soffici tratti bucolici, che la produzione di John McEntire completa con stupefacente misuratezza nel dosaggio di arrangiamenti orchestrali e filigrane ritmiche appena accennate.
Per gli amanti del profilo più “indie-rock” della band, in “Fade” non mancano un paio di residue incursioni in tinte elettriche più marcate (l’iniziale “Ohm” e “Paddle Forward”), seppur sfumate da tratti melodici e da un alone sottilmente trasognato, che rimanda al college-rock degli anni ’90 quando non addirittura a nostalgiche malie da pop chitarristico britannico.
Tuttavia, il prevalente impianto di “Fade” permane confortevolmente lieve e improntato a delicatezze sonore i cui sfumati contorni paesaggistici lasciano intravedere come non mai incontaminate praterie folk. La semplice grazia acustica di ballate sottovoce, appena circondate da un velo armonico soffuso e sognante (“I’ll Be Around” e “Cornelia And Jane”), si arricchisce così, al più, di un raffinato respiro pop, veicolato dal corollario di moderati arrangiamenti orchestrali (“Is That Enough”) o, al più, avviluppato in spire morbidamente stranianti (“Two Trains”).
Insomma, oltre che estremamente valido e compiuto, “Fade” appare l’album ideale per smentire i diffusi pregiudizi che spesso circondano l’approccio a una nuova opera di musicisti di lungo (o lunghissimo) corso. Pensateci – e soprattutto ascoltate – bene prima di dare una band per “bollita”.