BUBBLEGUM LEMONADE – Some Like It Pop
(Matinée, 2013)
Praticamente ogni uscita dello scanzonato Lawrence ‘Laz’ McCluskey riesce a strappare un sorriso prima ancora di inserire il cd nel lettore. Basta uno sguardo alla copertina, leggere il titolo dell’album o scorrere quelli dei brani per essere subito messi di buon umore dalla naturale capacità di non prendersi sul serio del quarantenne chitarrista e cantautore scozzese, alla guida delle due band “sorelle” Strawberry Whiplash e Bubblegum Lemonade, che quale principale elemento distintivo hanno l’elemento vocale.
In Bubblegum Lemonade è lui stesso a cantare con timbro morbido e perenne spirito post-adolescenziale melodie sostenute da un impianto chitarristico ora vivace ora intriso di lieve nostalgia. Anche il titolo del terzo album della band, “Some Like It Pop”, suona così al tempo stesso come una dichiarazione d’intenti e una ricognizione descrittiva del suo contenuto, mentre del tutto superflua appare la ricerca degli ironici riferimenti della copertina.
Alla medesima sottile ironia appare improntato l’intero lavoro, costituito da una carrellata di dodici tracce che vedono Laz e soci accentuare i caratteri più lievi e malinconici della sua scrittura pop, alimentati da un certo depotenziamento dello scatenato impatto elettrico che innervava con maggior decisione i precedenti “Doubleplusgood” e “Sophomore Release”. Certo, anche qui non mancano popsong fluide e contagiose come ad esempio “Your Valentine (Takes Me Back In Time)” e “Dead Poets Make Me Smile”, deliziosi esempi di guitar-pop dalle reminiscenze eighties, mentre lo stesso singolo “Have You Seen Faith?” e l’iniziale “This Is The New Normal” mettono da subito in chiaro il processo di affinamento al quale sono state sottoposte le canzoni di Laz, adesso contornate da più frequenti languori jangly e persino da qualche arrangiamento di violini, in una miscela dal piacevole sapore Teenage Fanclub.
Non per questo il tono dell’album si fa compunto né tanto meno levigato, anzi è ancora l’ironia e un gusto per giochi di parole e vaghi nonsense a caratterizzare la smithsiana “Dead Poets Make Me Smile”, mentre tutto uno spiccato candore sentimentale riaffiora nella scorrevolezza agrodolce di “Have You Seen Faith?” e “Don’t Hurry Baby”, fino a trovare perfetta sintesi in “Falling In Love With A Sad Song”, piccolo manifesto di un’essenza pop della quale McCluskey incarna il perfetto archetipo. Perché per fortuna, come ci sono ancora incalliti estimatori di un pop orgogliosamente “di retroguardia”, ci sono anche artisti come lui, capaci di dispensare dolce cibo per le loro orecchie ed anime, all’insegna del perfetto motto “Some Like It Pop”.