SHOULD – The Great Pretend
(Words On Music, 2014)
Oltre che ritrovarsi, da poco più che adolescenti a professori universitari, nel 2011 Marc Ostermeier e Tanya Maus hanno ripreso un percorso che nella seconda metà degli anni Novanta aveva identificato quella del loro duo Should tra le esperienze statunitensi di un formato espressivo in quel periodo ben più legato alla wave chitarristica britannica del periodo immediatamente precedente.
Sarà stata anche la temperie di recupero di quei suoni tra dream-pop e shoegaze di recente in auge da parte di etichette quali ad esempio Captured Tracks, ma il ritorno di Ostermeier (che intanto si era dedicato a un personale progetto ambientale e all’etichetta Tench) alla sua prima creatura in occasione del terzo lavoro “Like A Fire Without Sound” appare adesso niente affatto che un estemporaneo frutto della nostalgia.
Con sguardo e maturità ben diversa rispetto al passato, gli Should danno ora continuità alla loro seconda giovinezza artistica con le undici tracce raccolte in “The Great Pretend”. Fedeli alle proprie coordinate di sempre, Ostermeier e Maus nel nuovo lavoro conseguono un valido bilanciamento tra eteree melodie pop e un impianto di chitarre e tastiere che produce sfumature morbide e sognanti nella stessa misura in cui confeziona canzoni di impatto immediato.
Se l’incipit del disco, con i languori riverberati di “Don’t Send Me Your Regrets” e il vivace incedere ritmico di “Loveless Devotion”, chiarisce da subito come per gli Should il tempo non sia mai davvero passato, la tracklist si snoda in un composito caleidoscopio nel quale si succedono le chitarre più robuste del singolo “Down A Notch” e di “Amends”, le cadenze sintetiche pulsanti di “Everybody Knows” e gli aloni più tenebrosi di “Dalliance”, ma anche estatici passaggi di delicatezza sognante quali quelli della conclusiva “Don’t Get To Know Me” e di “In Monotone”, che muove lentamente da atmosfere quasi ambientali.
“The Great Pretend” non è insomma affatto un lavoro monotono o nostalgico, ancorché saldamente radicato su binari noti e consolidati. La maturità di Ostermeier e Maus, la loro sensibilità melodica nella scrittura e nell’intreccio delle voci e vesti sonore in continua trasformazione, pur nella coerenza espressiva, distinguono nettamente il lavoro da una semplice emulazione superficiale di uno stile, definendolo invece quale prodotto di uno spirito intatto, filtrato ma non intaccato dalla patina del tempo.
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenzae ha commentato:
I tulipani di Haarlem
sono famiglie del colore
di una farfalla morta
distesa sulla tela
bianca una finestra
in una mattina stanca
ondulate pareti verdi
scendono in un vulcano spento
in fondo lontano
dove arriva l’occhio azzurro
che guarda
le sostanze dei punti sono
come macchie sospese di
perseveranze
indicazioni di speranze