OLD EARTH – A Wake In The Wells
(mini50, 2014)
Todd Umhoefer espande ulteriormente le spigolose sperimentazioni folk-rock in bassa fedeltà, delle quali aveva dato ultima prova in “Small Hours”. Nella mezz’ora di “A Wake In The Wells” (ancora una volta un mini album o una sorta di corposo Ep), l’artista di Milwaukee condensa una serie mai così articolata di canzoni sbilenche, ricamate da irregolarità di registrazione e soprattutto percorse da spasmi di distante matrice post-punk, adesso sempre più spesso diluiti e rallentati in cadenze narcolettiche.
La poliedrica vena espressiva di Umhoefer trova nell’occasione sponda nell’apertura del progetto Old Earth a una serie di collaboratori tra i quali figurano Nick Berg e Chris Porterfield dei Field Report e Jon Mueller dei Volcano Choir. Anche grazie al loro supporto, Umhoefer ha l’occasione di dar libero sfogo al proprio coacervo di suggestioni stilistiche, come viene da subito palesato nella traccia d’apertura del lavoro, una caleidoscopica jam di oltre undici minuti nella quale si susseguono graffianti schegge elettriche, un cantato sgraziato e momenti di sospensione di una tensione comunque sempre latente.
In quello che da solo rappresenta oltre un terzo di “A Wake In The Wells” sono tuttavia gettate le basi in particolare del profilo più roboante del lavoro, che dapprima vira su un non meno vibrante registro da indie-lo-fi nineties, per poi scolorare nella sua parte centrale in cadenze rallentate e ambientazioni umbratili, che lasciano trasparire ascendenze louisvilliane, seppur sempre interpolate da accenni di feedback nervosi e ricorrenti frequenze distorte. È questa, in fondo, la parte migliore dell’espressione di Umhoefer, che nei tempi più dilatati e nell’organico sostegno della band trova al tempo stesso esalatazione dei suoi intricati dialoghi strumentali e un opportuno affievolimento dell’impatto di interpretazioni ruvide e talora respingenti.
Le mille facce dell’artista statunitense sono riconoscibili nelle cinque tracce senza titolo di “A Wake In The Wells”, nuova ostica sintesi di una declinazione se non altro personale di ambiziose sperimentazioni in bilico tra linguaggio folk, estetica diy e destrutturazioni post-noise.