JENS HERMAN RUGE – Oh, But Hey!
(Voices Of Wonder, 2015)
La parabola dalla spavalderia rock dei vent’anni alla malinconia cantautorale dei quaranta non è affatto scontata, eppure concreta una transizione naturale per l’evoluzione espressiva di tanti artisti. Jens Herman Ruge è tra questi, al pari peraltro del suo amico Pål Angelskår (Minor Majority), compagno di lungo corso nella band norvegese Reverend Lovejoy dalla fine degli anni Novanta e ora “riconvertito” in una dimensione di solitario cantore di storie ed emozioni semplici.
“Oh, But Hey!” è il suo secondo lavoro solista, una raccolta di dieci brani nei quali il denso timbro vocale dell’artista norvegese guida, con spiccato lirismo e moderati accenti da crooner, eleganti ballate in penombra incentrate su chitarra e pianoforte. Ruge pone così in pratica le dichiarate influenze di Elliott Smith, combinandole con un fluido lirismo interpretativo e con un piglio tenebroso, evidente portato delle sue esperienze precedenti. Il vigore espressivo della giovinezza, filtrato dalla pacatezza della maturità caratterizza tutti i brani del lavoro e le loro storie sommesse, insieme a modalità di scrittura ed esecuzione che ammantano le agrodolci interpretazioni di Ruge di un velo di austero romanticismo.
Prendono così forma canzoni semplici, dotate di un calore emozionale che non necessita di sovrastrutture aggressive ma si esprime compiutamente nelle scorrevoli dinamiche di “Good Intentions” e di “Myself From Up Here”, nell’eleganza pianistica della title track e nei sentori bucolici della miniatura di nemmeno due minuti “Ok?” e della conclusiva “Tree”.
Il folk resta comunque soltanto sullo sfondo, si percepisce soltanto in filigrana nelle canzoni di Ruge, che restano il frutto primario e immediato di un’ispirazione cantautorale matura ed elegante, densa di sentimento e dotata di tutto il fascino austero di umbratili sensazioni nordiche.