TEARS RUN RINGS – In Surges
(Deep Space Recordings, 2016)*
Se la rete ha senz’altro ampiamente incentivato le collaborazioni a distanza tra musicisti residenti in luoghi anche molto distanti tra loro, quando tale modalità si applica a vere e proprie band la sua stabile prosecuzione diventa sempre più difficile con il passare del tempo e le mutate esigenze personali degli artisti che ne sono partecipi. Così è avvenuto per i Tears Run Rings, band i cui componenti operano a distanza tra Portland, San Francisco e Los Angeles ma che fin dal loro debutto “Always, Sometimes, Seldom, Never” (2008) hanno avvertito l’esigenza di ritrovarsi, di tanto in tanto, in compresenza per buttare giù quanto meno gli scheletri di canzoni alle quali poi ognuno dei suoi componenti avrebbe poi lavorato in maniera autonoma.
È capitato così che, tra impegni familiari e progetti artisti individuali, per ben sei anni la band non abbia trasformato in un organico disco collettivo la comune e incontaminata passione per le sonorità shoegaze e dream-pop.
A valle del lungo silenzio seguito a “Distance”, ecco dunque il nuovo frutto di quanto condiviso dai Tears Run Rings nei ritagli di tempo loro concessi dalla quotidianità, il loro terzo album “In Surges”, ancora fortemente caratterizzato da strati di feedback liquido e melodie celestiali. Dati i presupposti da autentici appassionati del quintetto, la formula dei dieci brani raccolti nel lavoro non stravolge l’impianto di base dei due predecessori, tuttavia nei suoi solchi è dato cogliere più di qualche sostanziale evoluzione nel senso, da un lato, di un suono ancor più etereo e piacevolmente indefinito e, dall’altro, di una maggiore attenzione per l’impianto melodico di brani che scorrono in prevalenza fluidi e avvolgenti, a dischiudere luminosi orizzonti al tempo stesso atmosferici ed emozionali.
Meno univoci rispetto a “Distance” sono i riferimenti agli Slowdive, che pure rimangono tra gli inevitabili paradigmi richiamati dalla band statunitense, così come ancor meno “fisico” risulta l’impatto delle chitarre che pur non rinunciando ad accenni abrasivi (“Belly Up”, “Something You Can’t Hide”, la lunga coda di “Green Lakes”) sono piuttosto diluite in fluide correnti sonore, dai carezzevoli riflessi purpurei (“Part Of The Glass”, “Glacier”, “Happiness Almanac”).
La consistenza estremamente sognante della maggior parte di “In Surges” è poi amplificata dalla grazia melodica della cantante Laura Watling – che divide il compito con Matthew Bice – allegata a brani di durata più contenuta rispetto al passato e alle abitudini del rinascimento shoegaze degli ultimi anni, che spesso si trasformano in canzoni sospese a mezz’aria tra sognanti vapori elettrici.
*disco della settimana dal 5 all’11 dicembre 2016