THE DECLINING WINTER
Last April
(Second Language, 2024)

La premessa che accompagna “Last April” potrebbe valere come manifesto per molta musica della quale, nel corso di lunghi vent’anni, hanno trattato queste pagine, oltre che per gran parte della produzione di Richard Adams, dai tempi degli straordinari Hood e con il suo ormai duraturo progetto The Declining Winter: musica che proviene dal profondo, originata nell’ombra e destinata a toccare corde altrettanto profonde, se solo si ha il tempo e la pazienza di lasciarle fare il proprio corso, emotivo ancor prima che auditivo, concentrando mente e cuore su ogni nota, parola, silenzio.

Come raccontano le note di copertina, “Last April” è un lavoro scaturito dall’urgenza traumatica dell’elaborazione di un lutto che ha toccato gli affetti più intimi di Adams, tanto che le sei canzoni raccolte nella sua edizione fisica – alle quali si aggiungono due brevi bonus track digitali – sono state scritte di getto, in pieno flusso di coscienza, nel corso di una sola notte. Eppure, non per questo (o forse proprio per questo…) si tratta di un album affatto cupo o disperato; anzi, i suoi semplici elementi suggeriscono un intimismo intriso di una malinconia intensa e toccante, sublimata nel ricordo vivido e indelebile degli affetti più cari.

Non a caso, per dare corpo ai testi scritti con gli occhi lucidi in una notte primaverile, Adams ha scelto la formula più scarna e personale, riducendo all’osso delle corde pizzicate della sua chitarra e al violino di Sarah Kemp, al tempo stesso dolente e romantico, la struttura e gli arrangiamenti di canzoni poco più che sussurrate, con una voce quasi sul punto di spezzarsi dall’emozione. In filigrana all’accorato aspetto narrativo, che trasforma i brani in una sequenza di confessioni rese sfogliando idealmente seppiate immagini di famiglia, quello musicale si atteggia in piena coerenza, costituito com’è da palpitanti timbriche acustiche, distillate dall’inconfondibile tocco obliquo di Adams, non meno espressivo nei suoi silenzi, nei dosati spazi tra le note, di quanto non lo sia nelle sue risuonanti vibrazioni.

Nei suoni e nelle atmosfere evocate, è come se la malinconia autunnale dei tempi degli Hood avesse trovato sostanza e densa rappresentazione, connessa ai temi e alle esperienze, anche dolorose, dell’età adulta; per incorniciarla con calde pennellate acustiche, il marchio di fabbrica dei riflessivi arpeggi di Adams viene nell’occasione amplificato dagli arrangiamenti del violino di Sarah Kemp, che incornicia i brani di vaporosi sentori bucolici, enfatizzando gli apici di pathos di testi già denso di contenuti emotivi.

Se infatti la superficie dei brani è quella di uno scarno folk rifinito da elementi da camera, la dolente poetica ad essi sottesa, pur partendo da foschi sospiri che arrivano a riecheggiare quelli di Mat Sweet (“Eyes On Mine”), assume via via i contorni di un’elegia che si snoda attraverso una galleria di immagini familiari (“Mother’s Son”). A cadenzarla, segnandone i momenti più emotivamente densi, sono appunto i dialoghi con il violino, che arriva addirittura a dominare il culmine emotivo del lavoro e del percorso interiore che l’ha generato, laddove nella conclusiva “August Blue” la voce di Adams scandisce commossa “in the August blue I see your face/ the lines of love have worn away/ I hear your voice, I speak your name/ but you’re not here/ and I’m to blame”.

In poche altre occasioni come in “Last April” la musica diventa percorso di introspezione e catarsi, cristallizzando sentimenti e memorie che per suo tramite riescono a coinvolgere anche chi si limita ad avere la fortuna di ascoltarla; del resto, la musica è empatia, e Richard Adams è riuscito a crearla attraverso gli elementi più essenziali della sua espressione, ma anche e soprattutto grazie alla schietta condivisione di un momento intensamente sofferto della sua vita privata, elevato con estrema sensibilità a paradigma universale di affetti e memorie trascendenti.

http://www.thedecliningwinter.com/

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