TRICK MAMMOTH – Floristry
(Fishrider, 2014)
La provenienza da Dunedin è qualcosa più di una semplice suggestione nel caso dei Trick Mammoth, terzetto neozelandese che nel suo album di debutto raccoglie un’agile collezione di dieci primaverili bozzetti pop.
Scambiandosi vorticosamente gli strumenti e i ruoli vocali, i tre (Adrian Ng, Millie Lovelock e Sam Valentine) inanellano in “Floristry” una serie di perfette miniature pop, costruite intorno al canonico intreccio di chitarre jangly e ritmiche sfumate che sostengono melodie scorrevoli e upbeat, ma svolte in un caleidoscopio nel quale languori uggiosi si alternano a cori sbarazzini e zuccherosi accenti twee. Così, mentre la title track e “Terracotta” materializzano nostalgie da pop britannico tra anni ’80 e ’90 con piglio malinconicamente trasognato, le melodie scatenate di “Baltimore” e “Delphine (With A Purpose)” vagheggiano spiagge assolate e zucchero filato dal grigiore di un inverno australe.
Al pari delle melodie, anche il variopinto mondo sonoro dei Trick Mammoth si atteggia fluido e misurato, con chitarre e ritmiche che solo nella parte finale del lavoro aumentano di spessore, innalzandosi nei pur sfumati feedback di “Cold Dalmatian” e assumendo nella sola “Days Of Being Wild” una certa concretezza rumorosa, che riporta all’odierno noise-pop un album altrimenti deliziosamente fuori dal tempo, che gli indomiti amanti della miscela tra dolcezza e nostalgia del miglior indie-pop d’autore sapranno senz’altro apprezzare.