KATE CARR – Dark Days
(Vent, 2014)
Non sono più il freddo e l’incontaminato fascino d’Islanda del precedente “Songs From A Cold Place” (2013) a suscitare l’ispirazione per il paesaggismo ambientale dell’australiana Kate Carr, ma un coacervo di immagini e ricordi provenienti dalla sua infanzia, cristallizzati attraverso field recordings naturalistici raccolti in luoghi reconditi della costa meridionale del Nuovo Galles del Sud.
Filtrati dal tempo e dalla sensibilità artistica della Carr, quei ricordi non assumono tuttavia i contorni di vagheggiamenti nostalgici di un’età aurea, bensì dal paesaggio stesso traggono elementi foschi e notturni. Nascono così le dieci istantanee di “Dark Days”, non semplicemente caratterizzate da concreti suoni naturalistici, sotto forma di versi d’uccelli e frammenti liquidi, ma frutto di un’accurata elaborazione elettro-acustica nella quale si affacciano basso, chitarra elettrica, mandolino e tastiere.
L’iniziale “Piano Loops In Some Urban Bushland” descrive fin dal titolo in maniera emblematica il proprio contenuto, fungendo da proemio notturno a un lavoro nel quale narcolettici scorci acustici (“There Are Lakes And Lakes And Things To Say”) si avvicendano con naturalezza a riverberi ambientali dal lento incedere (“Estuarine”, “Insects By Night”). Tra frammenti armonici soffi ambientali caldi e ipnotici, c’è anche spazio per apici di rumore saturo derivante da sibili di nastri (“Early Evening”).
Lungo tutto il disco, delicati ricami di stille acustiche si fondono con delay e iterazioni sospese, rendendone la materia inerte e oscura a tratti persino lieve e sognante, fino a culminare nei passaggi finali dell’album in calde trame chitarristiche lentamente espanse e, infine, nei tre minuti di “Tomorrow Afternoon”, luminosa conclusione di un lavoro non sopraffatto dalla nostalgia del ricordo ma capace di trarvi spunto dai luoghi e dai suoni per una sublimazione frutto di un’originale sensibilità acustico-ambientale.
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