DIANE CLUCK – Boneset
(Important, 2014)
Sei dischi in sei anni, collocati nel bel mezzo del periodo di massima attenzione mediatica per la rinascita del folk statunitense, quindi un silenzio durato otto lunghi anni. Desta una certa sorpresa, richiedendo quasi uno sforzo di memoria che le ricolleghi ai suoi trascorsi, constatare il ritorno discografico di Diane Cluck, con una raccolta di canzoni come di consueto scarna e tanto concisa da poter essere considerata poco più di un Ep.
Eppure, negli appena ventidue minuti di “Boneset”, la cantautrice originaria della Pennsylvania offre uno spaccato personale e deciso di un folk antico, avvolto da una fascinosa patina di polvere ma distante da cliché superficiali. La linfa folk è connaturata al carattere solitario e introspettivo della Cluck, niente affatto incline all’edulcorazione di un linguaggio musicale incentrato, oltre che sulle sue interpretazioni vibranti, quasi esclusivamente su essenziali strutture di chitarra o pianoforte.
Nelle otto tracce di “Boneset”, la cantautrice è comunque supportata dalla violoncellista Isabel Castellvi e dalle ritmiche di Anders Griffen, che ne alimentano il lirismo di interpretazioni asciutte e pur inclini a qualche aspro innalzamento di tono, come nel caso dei crescendo drammatici di “Why Feel Alone?“ e “Sara”.
L’essenzialità espressiva della Cluck sa tuttavia anche regalare saggi di suadente romanticismo, nell’intensa ballata pianistica “Draw Me Out” e nelle carezze chamber-folk in miniatura prodotte dall’intersezione con il violoncello di “Content To Reform”, piccole gemme che impreziosiscono un lavoro tanto austero quanto fragile, rendendo ancor più gradito il ritorno di una cantautrice folk lontana dagli schemi e dai riflettori.