DENVER – Rowdy Love
(Mama Bird, 2014)
Più che una band, Denver è un punto d’incontro, una sommatoria aperta tra le ispirazioni di tre songwriter che fin dalla scelta della città del Colorado quale denominazione del loro progetto condiviso denotano il proprio radicamento nella tradizione americana più profonda, quella che trova il suo contesto ideale nei vasti spazi desertici degli Stati del West.
I tre provengono comunque dalla “capitale folk” Portland e sono Birger Olsen, Mike Elias e Tom Bevitori, accanto ai quali tra l’omonimo debutto di due anni fa e il nuovo “Rowdy Love” si è avvicendata una mezza dozzina di musicisti di estrazioni diverse, ma tutti parimenti affascinati dall’eredità narrativa e sonora di un folk elettrico polveroso, intriso di suggestioni country-folk.
Sotto la preziosa guida produttiva di Adam Selzer (ormai da troppo tempo assenta dalla splendida esperienza di Norfolk & Western) la band raccoglie in “Rowdy Love” undici brani avvolti da un alone di polvere romantica, dal corposo impatto elettrico e a tratti piuttosto nervose, che tra ritmiche decise e ricorrenti inserti di armonica elevano il blues a cornice di ballate perfette per riempire le distanze di highway riarse dal sole (“A Way Out” e il “roadhouse blues” di “Bound To Lose”). Sarà pure un cliché, ma è proprio questo l’immaginario alle quali si prestano le canzoni dei Denver, “long distance runners” della musica statunitense, a ogni sosta pronti a imbarcare nuove storie e nuovi compagni di viaggio, purché partecipi dello stesso ethos e della stessa estetica.
Decisiva nell’economia di “Rowdy Love” è stata proprio la sosta presso gli studi di Adam Selzer, il cui tocco lieve, più ancora che nel un suono anticato conferito a tutto il lavoro, si percepisce nei brani dai contorni più sfumati (“Prison Song”, “The Shame” e la conclusiva “Halfway There”), che agli ampi orizzonti paesaggistici evocati ne uniscono uno più romantico e riflessivo. Nel complesso, “Rowdy Love” si atteggia così a un’istantanea condivisa da un gruppo variabile di artisti, il cui nucleo resta comunque costituito dalla complementarietà tra tre songwriter che nelle loro varie esperienze collaborative perpetuano la sopravvivenza di una “americana” incurante di qualsiasi edulcorazione al gusto “indie” attuale.