valet_natureVALET – Nature
(Kranky, 2015)

Honey Owens non è artista tale da passare inosservata. Così è stato nel corso delle tante collaborazioni condotte nel corso di oltre un decennio, tra gli altri con Jackie-O Motherfucker, World e Nudge. Non è successo in occasione dei suoi due album solisti sotto l’alias Valet, l’ultimo dei quali (“Naked Acid”, risalente a ben sette anni fa) era un’intricata massa avant-psych e non succede nemmeno nel suo ritorno odierno, che sorprende non soltanto in quanto ormai quasi inaspettato.

In estrema sintesi, “Nature” è un album praticamente shoegaze, che rappresenta una deviazione significativa dal percorso seguito in passato dall’artista di Portland o, a ben vedere, semplicemente una diversa declinazione della psichedelia perseguita dall’artista nel corso degli anni.
Nelle otto tracce del lavoro vi è, innanzitutto, una fluidità di elementi melodici finora quasi del tutto sconosciuta alla sua consolidata esperienza, calata in uno sfolgorante universo di riverberi che rimanda al periodo aureo della Creation con coerenza e naturalezza sconosciute agli epigoni attuali di quei suoni, anche quanto a concisione espressiva.

Nel corso dei trentacinque minuti di “Nature” si sussegue infatti una galleria di rimandi e possibili riferimenti, che muove dai My Bloody Valentine più eterei (come non pensare ai sospiri di Bilinda Butcher ascoltando i vocalizzi dell’iniziale “Sunday”?) e dalle dolcezze di Lush e Slowdive (in particolare nella title track) per dirigersi verso luminose scie astrali sulle ali di una navicella alimentata a feedback e tastiere (“Lion”, “Nowhere”). Benché l’impronta psych della Owens riaffiori con decisione tra i le torbide spirali di “Signs” e una dimensione ritmica più o meno sintetica costelli i vapori di “Clouds” e le allucinate traiettorie di “Transformation”, l’essenza di “Nature” innerva anche questi brani della dolce leggerezza di interpretazioni eteree, saldandosi all’incanto sognante che ammanta tutto il lavoro e si manifesta infine in tutta la sua genuina morbidezza della conclusiva “Child”.

Può sorprendere “Nature”, avendo riguardo al profilo di Honey Owens, ma soprattutto alla meraviglia dell’autentico viaggio mentale a mezz’aria delineato dalle sue otto tracce, quanto di più coinvolgente e credibile ritrovate sensazioni shoegaze abbiano prodotto, da molto tempo a questa parte.


http://www.kranky.net/artists/valet.html

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