SUN DIAL – Other Way Out
(UFO Records, 1990)
La transizione tra anni ’80 e ’90, forse persino più di quella al nuovo millennio, è stata ricca di incertezze e di variegate proposte stilistiche. Mentre si alleviava la “novità” sintetica e vortici chitarristici cominciavano ad addensarsi verso cieli purpurei, le possibilità dispiegate appunto dalla transizione lasciavano ampi spazi liberi, nei quali capitava che tentativi di ancoramento ai capisaldi dei decenni passati divenissero premessa e stimolo per nuove ibridazioni di linguaggi musicali.
In questo quadro si inscrive senz’altro il debutto di un terzetto inglese, capitanato dal chitarrista e songwriter Gary Ramon, appena reduce dall’esperienza della band psych-rock The Modern Art (due album e svariate cassette tra il 1982 e il 1989). Una psichedelia acida e roboante, del resto, è connaturata all’intera carriera di Ramon, che nei Sun Dial trova un punto di svolta, un ponte tra passato, presente e futuro. Questo ponte, almeno nella prima metà degli anni Novanta, si è proteso in un lungo arco, chiuso da un ritorno alle origini rock (“Acid Yantra”, 1995), attraversato da pulsioni di elettronica ballabile (“Libertine”, 1993) e da incandescenti spirali shoegaze (“Reflecter”, 1992), eppure aperto da un disco animato dal culto retrò di una psichedelia sixties, visionaria e vagamente esotica, ma non per questo rivolto esclusivamente al passato.
Questo è “Other Way Out”, album che rispetto al successore “Reflecter” (uscito ormai al culmine del fervore shoegaze e in piena epoca “Madchester”) è abitualmente considerato in maniera più defilata nella discografia dei Sun Dial, a loro volta esponenti “minori” dello shoegaze, ma che reca in sé alcune delle tracce del successivo percorso della band, calate in un brodo di coltura acido e orgogliosamente demodé.
Già, perché le misteriose visioni aeree del brano d’apertura “Plains Of Nazca” rimandano immediatamente, nei temi e nei suoni, a un’Arcadia plasmata da stati alterati della coscienza, tra evidenti echi dei Pink Floyd di Syd Barrett e un certo gusto freak di inusitati suoni d’organo e crescendo di stampo quasi progressive. L’altra faccia della medaglia da subito messa in mostra dalla nuova band di Ramon non ha sapore meno antico: è il caleidoscopio di sgargianti colori sintetici di “Exploding In Your Mind”, brano dalle cadenze ipnotiche avviluppate da un delirio di wah-wah, che orienta alla West Coast di un paio di decenni prima gli orizzonti psych-rock della band.
Eppure, tra organi stranianti, zufoli bucolici orientati in direzione King Crimson/Jethro Tull e persino meditativi suoni di campana tibetana (!), “Other Way Out” contiene anche i germi di quello che i Sun Dial saranno da lì a poco: gli stessi effetti chitarristici di “Exploding In Your Mind” e ancor di più quelli di “World Without Time”, associati a un cantato languido ed etereo, lasciano intravedere i bagliori shoegaze che saranno, come anche le tastiere danzanti di “Other Side” orientano il suono della band verso orizzonti più leggeri e divertiti.
Di contro, la densa grana elettrica delle brevi “Visitation” e “Lorne Blues” rimandano esplicitamente a incandescenze rock’n’roll (la seconda, che chiude l’album, pare un omaggio a Jimi Hendrix), fungendo da corrispettivo in termini di durata e contenuto a “She’s Looking All Around”, passeggiata di dieci minuti attraverso incantati campi della mente, le cui morbide melodie suggellano il lato bucolico di un lavoro del tutto eccentrico rispetto al contesto musicale e anche rispetto agli stessi successivi passi della band.
Del resto, può ben succedere che una musica risulti del tutto “fuori dal tempo” quando la propria unità di misura è una meridiana…