PAUL MOSLEY – The Butcher
(Folkwit, 2016)
Che Paul Mosley avesse attitudini ulteriori rispetto a quelle del semplice cantautore era ben chiaro fin dallo splendido debutto “A Chattering Of Birds” (2013), incorniciato da field recordings e soprattutto da una pregevole varietà di orchestrazioni. Proprio tale ultimo elemento è amplificato in “The Butcher”, come appare evidente fin dalla sua condivisione riportata in copertina con la Red Meat Orchestra, ampio novero di musicisti e cantanti che affiancano l’artista inglese in una vera e propria “folk-opera” dalla durata di circa settanta minuti, composta da ben venti tra scene e interludi, popolati da una varietà di personaggi, cambi di costumi, colori, tempi e registri.
Se dal punto di vista narrativo “The Butcher” resta radicato nella tradizione popolare britannica, con le sue storie metaforiche di fantasmi e misteri rurali, da quello strettamente musicale delinea un’incessante variazione di stili e modalità espressive. Com’è ovvio, balza subito all’orecchio la ricchezza di orchestrazioni e soluzioni d’arrangiamento che spaziano da un chamber-folk leggiadro e romantico (“The World Is Flat”), che non disdegna spunti corali (“My Armour”), a maestose aperture di fiati e ottoni (la title track su tutte); tuttavia nel corso dell’opera non mancano passaggi di un cantautorato essenziale e romantico, rifinito appena dagli archi (“She Has A Mystery”, “You Don’t Need Love”).
Comune denominatore delle incursioni di Mosley tra stili diversi e riferimenti geografici e temporali tra loro distantissimi (le romanze da troubadour “Shadows On The Wall” e “The Fury”, il crooning orchestrale di “Satellites” e “Nothing In The Desert”, le sensazioni western di “The Rage”) è comunque il lirismo della scrittura di Mosley che, unito alla sua duttilità interpretativa, dà forma a una galleria di storie e personaggi mai sovrabbondante, nonostante i rischi connessi al formato stesso della “folk opera”.
Non altrimenti potrebbe infatti meglio definirsi “The Butcher”, lavoro ponderoso e non certo agevole per i moderni canoni della musica mordi-e-fuggi, ma anche per questo meritevole di attenzione per il suo essere fuori dagli schemi e sostenuto da ispirata capacità di scrittura e orchestrazione.