SISTER GROTTO – You Don’t Have To Be A House To Be Haunted
(Self Released, 2016)
Soffici coltri di riverberi e respiri angelici che ricamano atmosfere ipnotiche, al tempo stesso spettrali e sognanti: è la formula espressiva di Madeline Johnston, artista del Colorado in precedenza operante sotto l’alias Mariposa ma che anche nella denominazione recentemente assunta di Sister Grotto non ha abbandonato la dimensione realizzativa delle cassette autoprodotte, ormai consolidato territorio di proposte sperimentali.
Quella pubblicata dalla Johnston a inizio anno costituisce un saggio folgorante dei suoi codici espressivi, a grandi linee non così distanti da quelle di muse drone-folk quali Liz Harris o Alicia Merz, eppure caratterizzati da parti melodiche più pronunciate e da tempi ancor più espansi. I tre lunghi brani di “You Don’t Have To Be A House To Be Haunted” sono infatti incentrati non solo su loop e texture ambientali, ma anche sulle cadenze di note morbidamente risuonanti in delay narcolettici, impreziositi da cori e tenui arrangiamenti d’archi, che esaltano le carezze vocali della Johnston.
La stessa durata dei brani, in media oltre i dieci minuti, è perfettamente funzionale al lento svolgimento dei loro elementi e dunque alla creazione di atmosfere incantate, che ammaliano attraverso i codici austeri di un minimalismo che si rivela invece prodigo di suggestioni mutevoli. Le diafane visioni di “Videotape”, le granulose risonanze di “Uncanny” e le nebbiose iterazioni di “Witness” sono un biglietto da visita di tutto riguardo per un progetto artistico che sarebbe davvero riduttivo circoscrivere al microcosmo del drone-folk in bassa fedeltà, tanto si rivela spontaneamente denso di lentezze armoniche sognanti e dolcemente sospese.