THE ARCTIC FLOW – Umbrella
(Shiny Happy Records, 2017)
Abbandona per una volta – solo la seconda in ormai un decennio di attività – il breve formato del singolo o dell’Ep l’artigiano del pop Brian Hancheck, da sempre mente e cuore del piccolo culto rispondente all’alias The Arctic Flow. Lo fa con un album altrettanto agile, scorrevole come le sue canzoni e coerente come più non si potrebbe con l’estetica e, soprattutto, lo spirito del pop agrodolce e uggioso che affonda le proprie radici tra la wave e l’età dell’oro C-86/Sarah Records.
Titolo e copertina di “Umbrella” raccontano già molto delle otto tracce che le compongono, che dell’artista californiano offrono il lato almeno in apparenza più languido e malinconico, ben evidenziato dagli strati di tastiere dei due brani iniziali, che comunque lasciano ben presto spazio alla sbarazzina indolenza della title track. Il linguaggio universale dell’indie-pop non conosce infatti coordinate geografiche né contesti climatici; non a caso, al suono delle canzoni di The Arctic Flow si può indifferentemente rivolgere lo sguardo a un cielo assolato e camminare incuranti sotto una pioggerella autunnale… senza nemmeno pensare di dover usare un ombrello.
Fuor di metafora, un velo di nostalgia wave e un lirismo dai contorni smiths-iani mai così pronunciati caratterizzando le otto delicate canzoni di “Umbrella”, tuttavia non aliene da spunti sbarazzini e melodie che entrano in circolo con estrema naturalezza (“Perfume On My Pillow”, “Nothing Left”), la stessa con la quale Hancheck continua a dispensare piccoli gioielli di accogliente purezza pop.