SCOTT MATTHEW – Ode To Others
(Glitterhouse, 2018)
Al quinto album, Scott Matthew ha ormai da tempo consolidato la propria figura di cantautore intenso e romantico, le cui canzoni sono spesso prive di un diaframma tra dimensione personale e artistica. Dopo aver diradato i tempi delle proprie produzioni, inizialmente molto frequenti, l’artista di origine australiana (ma ormai newyorkese d’adozione), in “Ode To Others” inverte per la prima volta la direzione tematica della propria scrittura, rivolgendo l’estrema sensibilità che da sempre la domina a temi, persone e luoghi diversi da quelli della sua sfera personale, come del resto esplicita lo stesso titolo del nuovo lavoro.
Le dieci canzoni in esso contenuto vedono infatti da un lato Matthew affrontare per la prima volta temi politici (l’iniziale “End Of Days”, riferita all’attuale amministrazione statunitense) e sociali (“The Wish”, dedicata alla strage di Orlando del 2016 e conclusa da prolungati secondi di commosso silenzio) e dall’altro mutuare in maniera ricorrente parole altrui e tradizioni musicali per continuare a esprimere il sofferto lirismo della propria poetica. Si passa infatti dalla reinterpretazione di un classico come “Do You Really Want To Hurt Me?” ai versi di William Blake della conclusiva “The Sidewalks Of New York”, dall’altra cover “Flame Trees” (della band australiana Cold Chisel) agli ulteriori antichi riferimenti letterari di “Santarém”.
Nel realizzare tale operazione di proiezione del proprio sé all’esterno, Scott Matthew resta comunque protagonista di interpretazioni di elegante, teatrale intimismo, limitandosi ormai soltanto alle parti vocali dei brani, e ciò soprattutto grazie al prezioso lavoro di orchestrazione degli arrangiamenti da parte di Jürgen Stark, che a pieno titolo condivide con lui la responsabilità del lavoro. Non solo infatti Stark suona praticamente tutti gli strumenti a corda (chitarra, basso, ukulele), nonché organo e synth, ma si è occupato della produzione del lavoro e delle diverse soluzioni sonore che ne colorano i brani di una varietà di sfumature, conseguite attraverso la misurata interazione di archi e fiati.
Il lirismo esulcerato, stavolta più compunto che mai, di Matthew completa un’opera evidentemente frutto di grande condivisione, che permette alla sensibilità dell’artista di dispiegarsi integralmente, spaziando da un intimismo acustico appena rifinito a un’orchestralità ariosa, in pieno equilibrio tra dimensione interiore e sguardo rivolto all’esterno.