EKIN FIL – Maps
(The Helen Scarsdale Agency, 2018)
Da sempre, la musica di Ekin Üzeltüzenci comunica un senso di introspezione e la ricerca di pace interiore, in apparente contraddizione con la quotidianità metropolitana della sua Istanbul, rispetto alla quale le sfuggenti narcolessie dei suoi dischi a nome Ekin Fil si sono spesso atteggiate a frutti di un’ostentata volontà di isolamento personale e creativo. Ora che per l’artista turca l’isolamento è qualcosa di concreto e fisicamente tangibile, in seguito al suo trasferimento in un’isola del Mar di Marmara, la sua musica ne assorbe la stasi e il silenzio, restituendoli in maniera ancora più dilatata e malinconica rispetto al solito.
Pur mantenendo evidenti punti di contatto con la produzione recente di Ekin, i nove brani di “Maps” ne rideclinano gli elementi in chiave ancor più umbratile e minimale, invertendo il percorso di graduale costruzione di scheletri di canzoni che caratterizzava i precedenti “Ghosts Inside” (2017) e soprattutto “Being Near” (2016), nella direzione di un grado zero nel quale voce e risonanze droniche si confondono in spire sonore dal fascino malinconico. Le frequenze invariabilmente basse dell’album fluttuano sospinte da orbite irregolari di chitarre, organo e sparse note pianistiche, alle quali si saldano sospiri eterei che fungono da ulteriore strumento funzionale ad amplificare i contorni indefiniti di un’ambience costellata da impulsi e fremiti armonici minimali.
Spaziando tra spunti naturalistici e inquietudini appena sopite, Ekin Üzeltüzenci compila così un’autentica mappa di sensazioni, sospese tra riverberi rallentati e frammenti acustici, che pervengono ancora una volta a una mirabile sintesi sonora, nella quale drone-folk e shoegaze minimale convivono con suadenti melodie al rallentatore.