BUSINESS OF DREAMS – Ripe For Anarchy
(Slumberland, 2019)
Non è una novità per Corey Cunningham la fascinazione per il post-punk e il guitar-pop a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, avendo trascorso oltre una decina d’anni come chitarrista dei Magic Bullets. In Business Of Dreams, il musicista californiano ha tuttavia trovato una dimensione più personale, nella quale dare libero sfogo a una scrittura pop impregnata non di sola nostalgia, ma di una consapevolezza adulta che traspare in maniera evidente dal secondo album “Ripe For Anarchy”.
Dedicato al padre recentemente scomparso e inevitabilmente incentrato sui temi del ricordo e del distacco, il lavoro mette in mostra la sensibilità di Cunningham nel confezionare canzoni dotate di grande leggerezza melodica e di una varietà di soluzioni sonore che spaziano da cadenze wave a un agrodolce lirismo indie-pop. Nelle canzoni da tre minuti di “Ripe For Anarchy” è davvero racchiuso un intero catalogo della (ri)scoperta di quelle temperie espressive, diffusa negli ultimi anni in particolare negli Stati Uniti: le tastiere pulsanti di “N.R.E.A.M.” e di “Naive Scenes”, le chitarre le uggiose sensazioni nineties britanniche di “My Old Town” e di “I Feel Dread”, il lirismo decadente di “Don’t Let Our Time Expire” e persino una sorprendente (e deliziosa) rilettura in chiave jangly di “The Hatchet Song” degli Sparklehorse.
Non c’è dunque da sorprendersi che nelle pieghe del lavoro possano ritrovarsi echi dei primi Pains Of Being Pure At Heart o del recupero pop-wave dei Real Estate o di band del giro Captured Tracks: Corey Cunningham li riassume un po’ tutti, con un pregevole equilibrio di freschezza e maturità di scrittura.