PALE LIGHTS
Waverly Place
(Jigsaw, 2024)

Per quanto già di per sé ogni definizione musicale di genere lasci il tempo che trova, quelle di indie-pop e di jangle-pop sono ormai spesso abusate o comunque impiegate fuori luogo, a designare contenuti talora solo lontanamente assimilabili ai loro significati originari. Se invece, senza inutili giri di parole, si volesse una dimostrazione plastica e fedelissima di ciò che continua a essere animato dalla fiamma più pura dell’indie-pop dei tempi d’oro, basterebbe dedicare poco più di quaranta (piacevolissimi) minuti all’ascolto di “Waverly Place”, terzo disco in dieci anni esatti di attività dei Pale Lights, band che ruota intorno a Philip Sutton dei Comet Gain e che annovera nella sua line-up anche Andy Adler dei Crystal Stilts.

Della band newyorkese si erano quasi completamente perse le tracce dai tempi di “The Stars Seemed Brighter” (2017), tra progetti solisti (Love, Burns di Sutton) e la ricorrente, lunga gestazione dell’ispirazione necessaria per mettere mano a testi e melodie di ogni canzone pop d’autore che si rispetti. Infatti, “Waverly Place” ne contiene ben tredici, dalla canonica media di poco più di tre minuti di durata, nelle quali la band dispiega con straordinaria naturalezza l’intero arsenale di un pop che potrebbe definirsi orgogliosamente di retroguardia, ma che in realtà non smette di rigenerarsi lungo un filo conduttore che parte dagli anni sessanta, attraversa le esperienze della Sarah Records, dei Go-Betweens e dei primi Belle And Sebastian per poi disseminarsi attraverso mille rivoli in diverse parti del globo.

Non ci si aspetti di trovare qualcosa di radicalmente “nuovo” lungo tutto “Waverly Place”, se non appunto l’incontaminata purezza di un lessico senza tempo, fatto di chitarre arrotondate e scampanellanti, ritmiche scorrevoli e melodie intrise dell’agrodolce malinconia dell’inebriante brezza di una primavera di un tempo che non tornerà mai più. Eppure, senza sorpresa alcuna, il tempo delle canzoni dei Pale Lights è qui ed ora, scandito dalla tromba di “You And I”, dall’andatura caracollante di “Ghost Of Youth”, dall’eleganza decadente di “Girl In The Park” e “Come In The Spring”, dai languori solitari di “Alone In This Room” e da tutte le altre piccole gemme che formano “Waverly Place” e che entrano in circolo con una facilità disarmante. Questa dote, quanto mai rara di questi tempi, spiega meglio di qualsiasi argomentazione l’innata classe pop dei Pale Lights, autentici maestri di (apparente) leggerezza e grazia nella scrittura e negli arrangiamenti, che perpetuano la magia dai colori pastello del jangle-pop d’autore, a.d. 2024.

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