ALVIDREZ
Antiphon
(Memorials of Distinction, 2024)

Non è una mera suggestione per il sacro quella che si legge nel titolo e tra le righe di numerosi brani del debutto sulla lunga distanza (su cassetta e in digitale) di Alvidrez, alter-ego di Libby Hsieh, musicista di origine californiana ma attualmente residente a Glasgow.

Si tratta piuttosto della rielaborazione di un percorso personale, prima ancora che artistico, che in “Antiphon” trova compimento a livello narrativo e, soprattutto, di sensazioni suscitate. Di base, sono quelle del drone-folk al femminile, nella sua accezione più sognante ed eterea, già di per sé evocative di un certo misticismo che si rifugia in iterazioni aritmiche e ambientazioni nebbiose, tra le quali diafane carezze vocali si stagliano quali echi di un chiarore inafferrabile. Tutto ciò non manca di affiorare nel corso di tutte le dieci tracce del lavoro, condensate da stratificazioni di note d’organo e melodie pianistiche scandite al rallentatore, quasi a sostenere una sequenza di invocazioni (non a caso nei titoli di ben tre brani ricorre la parola “hymn”) e, più spesso, di pagine piene di riflessioni profonde, placide ed evanescenti come gli impalpabili vapori sonori che le incorniciano.

Eppure, se già con queste premesse Alvidrez non manca di tener fede alle comparazioni richiamate in sede di presentazione dell’album – su tutte Grouper e Julianna Barwick – “Antiphon” evidenzia tuttavia la peculiare personalità dell’artista californiana, che si manifesta in interpretazioni intrise di suadente dolcezza e composta introspezione, ma soprattutto in una qualità di scrittura che ne orienta l’espressione verso un pop trasognato ed etereo piuttosto che alla semplice applicazione di parti vocali a paesaggi sonori dei quali costituiscono soltanto un dettaglio. Brani come “Hymn For The Corner” e “So Much Depends Upon” assumono le forme di vere e proprie ballate, ancorché dai tempi dilatati e dai contorni indefiniti, mentre “Be Thou My Vision” e “Garden Of Forgotten Things” rendono emblematica la transizione come cifra stilistica alla base dell’intero “Antiphon”: la prima, con il coro di chiesa che conclude una arcana teoria di vocalizzi astratti incorniciata da riverberi estremamente densi e, in particolare, la seconda con un epilogo di cristallina purezza armonica su sparse note pianistiche, che segue una lunga intro che segna il passaggio di più pronunciata elettricità statica dell’intero lavoro.

Tenebre e luce, densità atmosferica e melodie carezzevoli trovano un eccellente punto di equilibrio in un debutto di assoluta intensità e poesia, che rivela Alvidrez come ispirata sacerdotessa di cerimonie di estatica introspezione, in dissolvenza.

https://alvidrez.bandcamp.com/

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